sabato 21 gennaio 2012

Quando ero in fila

Forconi. Forchette. Bombe. Gente incazzata con i politici. Gente incazzata con la sinistra. Gente incazzata un po’ anche con la destra. Gente incazzata col mondo. Gente incazzata con la sinistra2. Gente incazzata con le bombe. Supermercati con scaffali semivuoti e prezzi aumentati. File di ore per 30 euro di benzina. Gente che fa la spesa come se stessimo per entrare in guerra. Gente che c'ha la festa. Gente che urla. Gente che non rispetta le file. Controsensi. Ci sono le infiltrazioni. No a me non m'infiltra nessuno. E vabbè anche se ci sono non fa nulla perché le ragioni sono giuste. Ma hanno bruciato bandiere italiane! Si, ma noi ci dissociamo. C’è gente che parla di indipendenza della Sicilia! Vuoi che t’aumentano la benzina? Ad avercela la benzina! Sono rivendicazioni giuste, tu devi manifestare con noi. Manifestare è un diritto, non può essere un obbligo. Siete solo invidiosi perché non c'avete pensato voi prima. Tu nel '68 non c'eri. No, era il '69. Si ma tu non c'eri. Però quando lo facevano gli altri non c’eri tu. Ma quando lo facevano gli altri erano tutti indignati comunisti iperindottrinati. Si, ma qui c’è il popolo. Ma il popolo non è stato invitato. Ma sono lotte per il popolo, che servono al popolo. Si ma qualcuno gliel’ha chiesto prima cosa vogliono? Si ma lo stanno facendo per tutti i lavoratori, anche per te. Ma sono richieste egoistiche per le sole categorie interessate e poi io sono disoccupato. Si, lo fanno anche per i disoccupati. E se ero occupato? La facevano anche per gli occupati. E se ero precario? Lo facevano anche per i precari, ma a intervalli. Ma lo sai che c’è gente che da qualche giorno non può andare al lavoro? Bene, digli che viene insieme a noi a protestare. E se rischia di perdere il posto? Mi dispiace, forse non ha protestato abbastanza. Eh però l’hanno votata loro sta gente qua e ora la contestano. Si ma uno non può cambiare idea? È una guerra fra poveri, l’economia è in ginocchio. C’è da fare la rivoluzione e far tremare le gambe ai politici che si intascano soldi alle spalle della gente. Eh ma io vorrei sapere i nomi e cognomi dei politici che stanno tremando in questi giorni. Ma tutti devono tremare. Effettivamente siamo a gennaio ed è inverno pieno. Si ma questa è la primavera siciliana. No, la primavera è quando c’è il sole e si fanno le grigliate di pesce, anche se non siamo ancora in estate. Bella l’estate, quest’anno voglio andare al mare tutti i giorni e farmi anche una bella vacanza. La verità è che non ci sono più le mezze stagioni. Ma stasera che si fa? Io vorrei una pizza. Chissà se la fanno la pizza. Che altrimenti fa freddo, poi chi esce? Io già c’ho mal di testa. Anche io. Adesso stacco. Ok, ciao.


(Pubblicato su "La Civetta di Minerva" del 27 gennaio 2012)

venerdì 20 gennaio 2012

Non chiamarla rivoluzione

Con tutto quello che sta succedendo, vedendo con delusione che tanti amici e gente stimata si lasciano coinvolgere da questa sommossa e dall’impatto emozionale che sta suscitando, è forte la tentazione di contattarli uno ad uno, rischiando anche il linciaggio verbale, per farli riflettere.

Non c’è presunzione di avere la verità assoluta sulle cose in tasca, né quella di sentirsi tanto più sveglio o intelligente degli altri, ma avendo visto e conosciuto tanti “furbetti” negli anni, è impossibile riuscire a stare zitti evitando di commentare ogni articolo, post o presa di posizione letta.

Partiamo da alcuni presupposti. L’economia siciliana è in crisi, non da quest’anno ma da tempi immemori a memoria d’uomo. La migrazione dei giovani siciliani al nord o all’estero non intende calare e chi ha la fortuna di trovare un lavoro, precario o no che sia, è sempre più una rara eccezione.

Piove sempre sul bagnato e quindi era ovvio che all’esplosione della crisi economica, dopo che per qualche anno c’hanno detto che i ristoranti erano sempre pieni, le regioni più colpite fossero proprio quelle più deboli.


Perché la Sicilia ha sempre una caratteristica che resiste nel tempo, la sua debolezza.

La debolezza di non riuscire ad emergere e sfruttare le ricchezze che ha, la debolezza di non riuscire a valorizzarsi, la debolezza di non riuscire ad evitare di piegarsi a tutta quella classe politica che la amministra non grazie a chissà quali capacità, ma solo per il “movimento collaterale” che riesce a smuovere attorno a sé, le spinte emozionali, le candidature giuste e i giochi di potere.

Ed è così che nei periodi di disperazione spesso la scia emozionale pregiudica la razionalità.

Da circa una settimana la Sicilia è bloccata. È bloccata perché due movimenti di cui fanno parte molti agricoltori, allevatori e trasportatori  si dicono stanchi del disinteresse delle istituzioni nei loro confronti e quindi scendono in campo a manifestare. La forma scelta è quella del blocco dei trasporti e dei rifornimenti di carburante e di materie prime. Concesso, almeno così sembrerebbe, il passaggio delle ambulanze nei casi di emergenza e il trasporto pubblico, almeno finora.

Le difficoltà ci sono, è evidente, e la protesta ha piena ragione di esistere. Quel che non torna sono la forma, i destinatari e gli obiettivi.

Si è scelto di occupare le strade e le autostrade, con la ragione di voler far “tremare” i politici siciliani. Al momento stanno tremando solo le persone che non sanno se potranno andare al lavoro, se potranno recarsi da un medico per una visita (anche se non di emergenza), se dovranno spostarsi per un colloquio di lavoro, se vorranno semplicemente vivere una vita nonostante la crisi che stanno pagando anche loro.

Si sceglie di indebolire la già fragile economia siciliana per dimostrare l’importanza di alcune categorie, senza le quali essa non potrebbe sopravvivere, pur sapendo che ricominciare l'indomani non sarà come quando si rientra dalle ferie.

E lo si fa come dimostrazione di forza contro le istituzioni. Già, le istituzioni, ma quali di preciso?

Sono istituzioni sia il sindaco di un paesino di mille abitanti, sia i presidenti del Consiglio dei Ministri e della Repubblica, passando per il governatore dell’isola e quelli delle varie province.

Come capita in questi momenti, si tende a prendersela un po’ con tutto e tutti e quindi i destinatari diventano tutti i politici in genere, quelli di destra come quelli di sinistra, chi governa e chi sta all’opposizione e anche chi nelle istituzioni non ci sta proprio ma è comunque legato a un partito.

Poi però emergono situazioni strane. Il rincorrersi di tante notizie, mai contrastanti, ma sempre più numerose.  Comincia a venir fuori che un movimento apartitico come questo, che doveva cacciare ogni politico munito di bandierina “a calci in culo”, ha dentro di sé una serie di piccole “incoerenze”.

Pare che dietro ci sia il supporto neanche troppo velato di altri movimenti, tra cui il “movimento per la gente” di Maurizio Zamparini, il gruppo di Scilipoti e addirittura il supporto anche fisico di Forza Nuova.

Viene fuori anche che i cosiddetti “capipopolo” non sono altro che ex politici a loro volta, che in un passato neanche troppo lontano erano vicini a forze come quella del governatore siciliano (che ha subito risposto che ne ascolterà attentamente le esigenze) e che magari oggi si trovano più accomunati con i movimenti di cui sopra.

Si è parlato anche di possibili infiltrazioni mafiose, tutte da verificare ovviamente, ma si sa che la mafia trova terreno fertile dove c’è disagio sociale o economico.

All'esplosione della protesta, il susseguirsi di supporti anche da parte di molti politici siciliani, che, stranamente, appartengono proprio a quegli schieramenti che al momento ci stanno governando e che sempre in teoria dovrebbero essere i primi a risentirsi, in quanto principali destinatari. Dopo il movimento dei forconi, arriva l’esercito delle forchette pronto a sedersi sulla tavola apparecchiata da altri.

Certo è che ancora una volta la politica siciliana ha perso un’occasione per mettersi davvero a servizio della gente, ascoltandone gli umori e prodigandosi per risolverne i problemi, preferendo che a intestarsi le battaglie di giustizia sociale e di sviluppo fossero movimenti che nascono proprio in contrapposizione alla politica stessa.

E i vantaggi dell’antipolitica, si sa, sono sempre quelli. Quando smuovi il popolo, ti dicono tutti che sei bravo e sono tutti con te. Passato il momento, sei solo un qualunquista rompiscatole.

È anche vero che dietro i movimenti c’è sempre più gente. Perché la crisi la sentono tutti e quando la crisi ti tocca, protestare diventa il minimo che si possa fare. C’è tanta brava gente che sicuramente crede in buona fede agli intenti per cui i movimenti si presentano, pur con proclami alquanto generici.

Quel che non è chiaro è l’obiettivo.
Si, si vuole cambiare la Sicilia, si vogliono meno tasse e benzina meno cara.
Giustissimo e sacrosanto.
Ma di chi è la responsabilità di tutto questo? Chi è chiamato a intervenire in merito?

Se le responsabilità fossero attribuibili al governo regionale, non avrebbe avuto più senso andare direttamente nella sua sede e occupare quella creando il disagio lì? Sicuramente il supporto della gente onesta ci sarebbe stato in ogni caso, forse anche in modo più coeso e partecipato. Se il problema fosse il governo Monti, non sarebbe stato meglio protestare direttamente a Roma? Si può pretendere di far “tremare” le istituzioni senza far loro subire neanche una minima parte del disagio?

Quando si decide di intraprendere un viaggio, la prima cosa che si guarda è dove esso ci porterà e per arrivarci bisognerà saper scegliere bene il mezzo e chi ti ci deve portare. Mancando uno di questi presupposti, il viaggio salta.

La protesta è giusta e sacrosanta, pur se espressa in maniera confusa. I metodi andrebbero sicuramente rivisti, considerato anche che tutto può degenerare con violenza o bandiere che prendono fuoco, smentendo anche le intenzioni migliori che ci possano essere.

Manifestare è un diritto inviolabile, come votare e come lavorare, ma non può certo essere un obbligo. Quindi non ha senso innervosirsi, attaccare verbalmente o costringere chi in certe proteste non crede ad aderirvi “forzatamente”, non è più rivoluzione, diventa squadrismo d’altri tempi e l’atteggiamento si fa fin troppo simile a quello che, infiltrazioni o no, hanno certe organizzazioni.

Sento dire di persone pronte a restituire la propria tessera elettorale sempre in segno simbolico di protesta. Bella idea, a patto che poi se la facciano restituire e che la prossima volta la sappiano usare in modo corretto.

L’unico modo per combattere le proprie debolezze è quello di analizzarne le origini. Storicamente questa terra si è sempre adagiata sul fatto che per ottenere le cose serva sempre il minimo sforzo. La mafia e i sistemi clientelari l’hanno sempre sfruttata perché gli è stato sempre permesso di fare la voce grossa. Una certa classe politica è ancora là a farsi i propri interessi, a tutelare le proprie cliniche private o imprese dalle partecipazioni dubbie, perché i siciliani continuano a tenerli là, vendendosi il proprio voto e quindi la propria dignità quando gli offrono piccoli favori o piccole agevolazioni.

Va detto che ogni tanto qualche risveglio importante c’è stato, ad esempio ai tempi dei fatti di Avola che diedero origine alla rivoluzione nel mondo del lavoro e delle manifestazioni antimafia dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Anche lì c’era gente che non ne poteva più, che si è rivoltata contro le istituzioni e contro le organizzazioni criminali, ma c’erano un obiettivo, un destinatario e una forma ben definiti.

Non c’è rivoluzione qui, non si può parlare di “Primavera Siciliana” e non perché siamo a gennaio.

La tanto invocata rivoluzione deve prima partire dalla testa. Se la testa inizia a funzionare, se cambia la mentalità, se la rivoluzione si fa cultura, allora tutta sta gente non avrà bisogno di dimettersi, perché l’avremo già mandata a casa noi non votandola più.

«La "rivoluzione" si fa nelle piazze, con il popolo; ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale, con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello.» (Paolo Borsellino)