sabato 16 novembre 2013

Ritengo doveroso fare il punto sull’ultimo Consiglio Comunale di Palazzolo Acreide, dell’8 novembre scorso.

Dopo aver approvato all’unanimità i primi punti programmati (sostegno ai Sindaci ribelli contro SAI 8, i regolamenti su servizio ASACOM e Consulta degli Stranieri e l’istituzione dell’Area di Raccolta Ottimale), il Consiglio Comunale di Palazzolo, ha registrato, sull’ultimo punto, forti tensioni e contestazioni da parte del Gruppo di opposizione “Cittadini Attivi”.

Si doveva approvare un o.d.g. teso a formulare un appello, un semplice ma sentito appello, al Governo ed al Parlamento nazionale, per l'immediata abolizione del reato di immigrazione clandestina, delle norme previste dalla legge 189/02 (Bossi/Fini) e per la revisione della normativa in tema di immigrazione.

Un documento di cui il Presidente del Consiglio stesso e il Capogruppo della maggioranza, cioè le massime espressioni della forza che sostiene l’Amministrazione, figuravano primi firmatari e su cui, però, la maggioranza stessa ha chiesto un rinvio per maggiori approfondimenti sulla legge, con l’intenzione di individuare, prima, gli indirizzi nazionali ed europei.

Lo sdegno da parte del gruppo consiliare di opposizione si è concretizzato nell’abbandono dell’aula, in segno di protesta, ritenendo la richiesta di rinvio pretestuosa. Una seria e credibile proposta di approfondimento o, se il caso, di rinvio, poteva pervenire in sede di Conferenza dei Capigruppo, nei momenti antecedenti la seduta del Consiglio stesso o con una richiesta di sospensione dei lavori.

Sono rimasto in aula per spiegare le ragioni e non per mantenere il numero legale a supporto di una maggioranza a ranghi ridotti. Ho cercato di chiarire che lo scopo della campagna nazionale, lanciata sì da una parte politica, ma condivisa da tantissimi Consigli Comunali e Provinciali d’Italia, era semplicemente quello di sollecitare il legislatore nazionale ad un impegno, non più prorogabile, per  una revisione  dell’intera normativa in materia di immigrazione, nel rispetto dell’art. 10 della Costituzione, della Carta Europea dei Diritti Fondamentali e, quindi, del diritto alla vita ed alla dignità umana.

Mi sono alzato per lasciare l’aula e raggiungere i colleghi, ma con una “furbata”, il Presidente, votazione “alzati e seduti” in tempi record, ha considerato il gesto come voto contrario, ma utile a mantenere il numero legale. A nulla sono valse  le proteste, che faremo valere, in ogni caso, nella prossima seduta.

Quel che è emerso dal Consiglio è, a mio parere, molto sconfortante e desta forte amarezza.

Nessuna velleità di sostituirsi al Parlamento. Anche solo pensarlo, vuol dire non aver compreso nulla di ciò che era in discussione.

Si chiedeva un gesto di solidarietà, anche simbolico, a fronte delle tragedie avvenute nei mesi scorsi e una sensibilità, di livello, su un tema che ha coinvolto e sconvolto centinaia di vite umane.

Si proponeva un giudizio di condanna su quelle leggi che a livello internazionale, in maniera trasversale, sono considerate “leggi-vergogna”.

A fronte di eventuali ritardi del Governo e del Parlamento, mi chiedo, se dopo il rinvio chiesto dalla maggioranza “per approfondimenti” sul tema, e non dall’Amministrazione, come letto sulla stampa, occorra  attendere la prossima tragedia e un numero sempre maggiore di vittime per affrontare ancora l’argomento in Consiglio.

Eppure l’o.d.g. sul tema era stato posto senza contrapposizioni di parte, ma su condivisione di intenti. In Consiglio, invero, è stato chiesto un rinvio per “ulteriori approfondimenti” su un tema e su una tragedia continua riportati in maniera giustamente ossessiva dai giornali, dalle tv e sulla rete.

Avremmo rispettato anche un voto contrario all'appello, prima condiviso, da rivolgere al Parlamento; non condividiamo rinvii pretestuosi.

Si auspicava una prova di sensibilità ed una testimonianza di vicinanza nei confronti di chi subisce la tragedia dell’emigrazione e di chi è chiamato ad affrontarla sul suolo italiano con spirito di servizio. Non si aveva la pretesa di suggerire una nuova normativa al Parlamento. Non è nostra competenza e non ne abbiamo, probabilmente, le capacità.

Si è persa, in conclusione, fatto gravissimo, un’occasione per trasmettere alla cittadinanza un segnale positivo.

Fabio Fancello
Consigliere Comunale di Sinistra Ecologia Liberta
nel Gruppo Consiliare di “Cittadini Attivi per Palazzolo”
e referente TILT Sicilia

domenica 6 ottobre 2013

La Tragedia, il Dolore e la Vergogna

Tragedie. Una brutta abitudine italiana è quella di ricordarsi di alcuni problemi solo a seguito di tragedie.

La Tragedia è quella che ci riporta l’attenzione su un argomento che stavamo trascurando e che stimola il circo mediatico, quello che accende i riflettori sulle cose e che, periodicamente, decide ciò di cui si deve parlare e a cui si deve pensare.

La Tragedia, porta sempre con sé cose come l’Indignazione, il Dolore, il Sangue, la Vergogna e tanti interrogativi che alimentano la discussione: “poteva essere evitata?”, ”qualcuno poteva limitarne i danni?”, “cosa fare perché non accada più?”.

Oggi la Tragedia si chiama Lampedusa.

Anche ieri, in verità, si chiamava con lo stesso nome, ma era una “tragedia minore”, da seconda o terza pagina, subito dopo le bizze dello “strano governo” e le sue “decadenze”.

Non interessava al circo e forse dava pure fastidio.

Lampedusa, si dice, è la porta dell’Europa al Mediterraneo. Una porta che la politica italiana ha sempre cercato di chiudere. Una porta che invece l’Europa vorrebbe sempre aperta, ma non spiega come e per chi.

Con Lampedusa oggi si riapre, ancora una volta, un dibattito politico sulla limitazione dei flussi migratori. Come se, in un mondo moderno sempre più globalizzato, il miscuglio, la contaminazione e l’integrazione tra i popoli possano essere evitati. Come se, il trovarci da questa parte del Mediterraneo, piuttosto che dall’altra, non fosse solo un fortunato caso.

La politica italiana, nel suo complesso, si è rivelata spesso inadeguata nel comprendere il concetto stesso di globalizzazione, restringendolo semplicemente ad una visione economica di estensione a livello planetario dei mercati e degli scambi internazionali.

Eppure il flusso migratorio è una parte integrante del mondo globalizzato, di cui spesso è stata fondamento e che, più che limitare, bisognerebbe saper gestire al meglio.

Lampedusa è stata spesso spettatrice delle diatribe di governo sul tema dell’immigrazione. Dai trattati dei nostri governi con dittatori oggi deposti e la “ripartizione” di migranti tra i nostri paesi confinanti, all’istituzione di leggi disumane come quella sul reato di clandestinità e la famigerata Bossi-Fini, che, già dal nome, dovrebbe lasciar intuire con quale logica e spirito “umanitario” è stata concepita.

Leggi utili a chi le ha sfruttate per delle campagne elettorali ispirate al terrorismo psicologico e mediatico e al populismo. Leggi per cui spesso l’Europa ci ha bacchettati e ripresi.

L’Europa, la stessa che i nostri governanti accusano di eccessiva distanza da certe nostre emergenze, forse perché le conviene o più probabilmente perché ci considera capaci di gestirli da soli.

L’Europa, che tanto pretende e poco dà, l’Europa che, evidentemente, ci sopravvaluta.

Ma è giusto dare la colpa di quanto è successo all’Europa?

Eppure certi leghisti o certi fomentatori d’odio razziale, i personaggi da “io non sono razzista, però…”, che ci fanno cadere la faccia ogni volta che aprono bocca, ce li siamo votati noi. Alcuni, come premio, glieli abbiamo pure mandati, in Europa.

Le leggi xenofobe le ha promosse la stessa classe politica che ci ha governati per anni, che non ha mai pensato di rivederle, quella che vive per sopravvivere e non per il benessere delle comunità e che oggi perde pure del tempo a decidere se un condannato deve decadere o no dal suo ruolo di parlamentare.

Oggi piangiamo un numero incalcolabile di morti. Dei morti a cui non importava niente della Bossi-Fini, niente del fatto che il loro solo esistere per lo Stato italiano fosse già un reato, né di quale sarebbe stato il loro destino una volta sbarcati.

Non gli importava niente dei governi, dei dittatori e dell’Europa. Niente degli ammonimenti e del solito gioco dello scaricabarile che non risolve i problemi.

Lampedusa per loro era un passaggio obbligato della loro fuga, non certo un luogo di villeggiatura, la prima tappa di un viaggio lungo e incerto. Lampedusa era anche la speranza, per chi voleva ricostruirsi una vita, lontano da un inferno di guerre e persecuzioni, magari ricongiungendosi con i propri cari già risiedenti in giro per il continente.

Oggi ci sono l’Indignazione, il Dolore e la Vergogna. Ma domani, a fari spenti, cosa rimarrà di questo momento? Chi ricorderà che si trattava di uomini, ma anche di donne e di bambini? Cosa importerà se le ragioni del loro viaggio della speranza non erano di lavoro ma di sopravvivenza?

Questo è il paese che ha avuto il coraggio di considerare reato la clandestinità, che condanna chi soccorre in mare le imbarcazioni in difficoltà, che ancora fatica a considerare “Italiani” i cittadini di seconda generazione.

Il paese che, nonostante il persistente stato di emergenza, si fa trovare sempre così impreparato dal non riuscire a trovare soluzioni di accoglienza migliori dei CIE.

Un paese che continua ad eleggere chi ha avuto il coraggio di abbandonare degli esseri umani al proprio destino, di renderli merce per i trafficanti di uomini e di privarli della loro libertà, per confinarli in centri accoglienza per un lasso di tempo indefinibile, in attesa di una burocrazia sempre troppo lenta e incapace.

Un paese capace di essere caritatevole e assassino allo stesso tempo.

C’è anche chi obietta che sarebbe giusto aiutarli, ma “a casa loro”.

Molti di loro fuggono da paesi in guerra civile e una “casa loro” non ce l’hanno neanche più, spesso sono stati costretti a lasciarla per non farla divenire anche la loro tomba. E poi, sappiamo bene, le ultime volte che abbiamo “aiutato” qualcuno a casa sua, portandogli libertà e democrazia, come è andata a finire.

Anche noi siamo stati un popolo di emigranti, ma dalla memoria corta. Anche noi siamo stati disprezzati al nostro arrivo in terra straniera, anche noi accusati di aver “importato” la nostra criminalità nel paese ospitante.

Anche noi oggi viviamo in una terra che si fa sempre più inospitale, che non ha cura dei suoi abitanti e che anzi li spinge sempre più ad allontanarsene. Anche noi siamo fuggiti e fuggiamo ancora.

Oggi l’argomento torna attuale perché è scoppiata la Tragedia, per una settimana o una decina di giorni, il circo mediatico ha puntato i suoi riflettori, ha il suo argomento da prima pagina.

La fiera dell’ipocrisia si è subito scatenata e tra i suoi partecipanti ha trovato anche gli insospettabili, i responsabili di questi disastri, quelli che oggi lanciano proclami e sensibilizzano ad un lutto nazionale, che donano la cittadinanza italiana ai morti, ma che indagano i vivi.

Come si può ritenere di avere la coscienza pulita, con tanto sangue a sporcare le nostre coste? Come si riesce a guardare con sufficienza certe scene senza riconoscere tra le vittime quello che potrebbe essere nostro fratello, nostro figlio o un nostro amico?

Bisogna spazzare via certe leggi e bisogna farlo presto, prima che la Tragedia torni in terza pagina, prima che il circo ci dica di parlare e pensare ad altro e che tutto questo venga, ancora una volta, dimenticato.

Altrimenti, passata l’Indignazione, affievolitosi il Dolore, ci rimarranno soltanto il Sangue e la Vergogna, quella di essere ipocriti.

venerdì 7 giugno 2013

Quando ho accettato la mia candidatura avevo previsto molte cose.

Che sarebbe stata una campagna elettorale molto dura e faticosa, che non sarebbero certo mancate le critiche, le provocazioni e le offese personali. Che d’altro canto sarebbero potute arrivare anche attestazioni di stima e di rispetto, che per fortuna non sono mai mancate. Ma soprattutto ero cosciente che candidarsi voleva dire mettersi in discussione, sfruttare l’esperienza accumulata in questi anni e dare un giusto epilogo ad un percorso intrapreso ormai da più di 13 anni.

È il momento giusto per fare un primo bilancio di quest’esperienza inedita.

Mi sono trovato in un gruppo che col passare del tempo si è compattato sempre più, che oggi è molto coeso, proprio grazie alla condivisione di questa esperienza. Un gruppo che credo m’abbia valorizzato pienamente. Un gruppo che ha saputo stringersi attorno al suo candidato sindaco, nei tanti momenti di difficoltà.

Dopo un comizio in piazza, che agli inizi non avrei mai immaginato di saper fare, dopo i comizi rionali su cui, con un po’ di “sana follia”, ci siamo buttati con l’entusiasmo e l’orgoglio di chi crede davvero in quel che dice e che sta facendo, non posso che avere un ricordo positivo di quest’esperienza.

Abbiamo offerto ai palazzolesi una proposta amministrativa, abbiamo cercato di far passare il messaggio che esiste un gruppo che si sta mettendo in gioco con un progetto di amministrazione diversa, che abbia come priorità il benessere dei cittadini e la ricostruzione in modo organico di ogni settore del paese. L’abbiamo fatto mettendoci l’anima e la faccia in tutte le occasioni possibili, abbiamo voluto dire che “noi ci siamo” e non abbiamo vergogna di dirlo, abbiamo cercato di far sentire le nostre voci, di farle sentire tutte.

Ed è doveroso un ringraziamento sentito a chi sin dall'inizio si è adoperato per sostenermi.

Agli amici, quelli veri, a cui il voto non è stato neanche necessario chiederlo, e ad altri, che magari hanno vissuto il confronto con l’imbarazzo di chi non vuole scontentare chi è candidato altrove, fiducioso che alla fine sapranno fare la scelta giusta. A tutti coloro che, oltre ad impegnarsi CON me, si sono impegnati PER me, coinvolgendo e convincendo anche altre persone a darmi sostegno. A tutti quelli che mi avevano già scelto prima ancora che andassi a chiederlo, a chi ha tenuto a dimostrare che non sono solo. A chi avrebbe voluto votarmi ma non può e si è speso come ha potuto, a chi mi è stato accanto, nonostante la stanchezza, dopo ogni giornata di questa lunga campagna elettorale.

Adesso finalmente arriva il silenzio. La speranza è che l’11 giugno Palazzolo possa finalmente risvegliarsi libera e cosciente delle proprie potenzialità, finora inespresse. Che possa rianimarsi, come è stato in queste settimane, ma stavolta con i presupposti sani di una comunità che vuole risorgere e che non ci sta ad essere condannata al declino, che abbia voglia di rialzarsi e finalmente ripartire.

mercoledì 10 aprile 2013

Vuoti a perdere


Si avvicina una corsa importante, forse la più importante, quella che, più di tutte le altre, ti ha spinto ad affrontare la competizione.

Hai già una buona macchina, certo non è una Ferrari, ma con la messa a punto giusta e un pilota capace, hai buone possibilità di affrontare gli avversari, soprattutto quello da battere, il pluricampione che sembrerebbe alla guida della macchina perfetta.

Un pilota importante, uno di quelli con esperienza, si offre di darti una mano. Già al solo ventilare della notizia, le quotazioni del tuo avversario cominciano ad oscillare. Con lui potresti competere, rischiare di vincere o almeno mettere in difficoltà tutti gli altri.

Basta solo un sì, accettare la proposta ed accogliere questa disponibilità e finalmente il tuo impegno, la tua costanza e la tua presenza in questo mondo avranno un senso.

Ma accade l’inaspettato, quello che nessuno sano di mente potrebbe mai augurarsi, ciò che sconvolge anche chi ti è accanto. È il momento della scelta, “vado a piedi che, anche se non arrivo lontano, almeno arrivo sano e non mi stanco troppo”.

E così, con una simile vocazione alla sconfitta, anche le cinquecento cominciano ad aspirare ad ottenere un piazzamento migliore del tuo.

Agli altri rimane solo il dubbio: perché, davvero, hai scelto di competere?


domenica 17 marzo 2013

FB #17.3.13

Bella giornata ieri. Sono state elette due della principali cariche dello Stato. Si tratta di persone di tutt'altro spessore rispetto ai loro predecessori. Nel frattempo, i grillini scoprono il voto di coscienza e il miliardario genovese è già in allarme: non sia mai che questi si sono messi in testa di fare davvero ciò per cui sono stati eletti?

venerdì 22 febbraio 2013

La pancia e la testa


Sicuramente gli ultimi anni sono stati contraddistinti da una classe politica che ha curato poco o nulla gli interessi del paese, anteponendo e privilegiando i propri.

I casi di corruzione, le tangenti, gli scandali vari, hanno portato il paese a rivivere in qualche modo, a distanza di soli 20 anni, una delle epoche peggiori della storia repubblicana. Nel 1992 Tangentopoli portò alla dissoluzione dei principali partiti che avevano governato il paese, alternandosi, sin dal dopoguerra. Salvo alcune eccezioni, come il PCI, l’intera classe politica e l’intero sistema furono travolti dallo scandalo.
Le risposte da parte degli elettori furono di disaffezione e sfiducia verso l’intero mondo politico. Tutto ciò favorì l’ascesa di nuovi soggetti, quelli da seconda Repubblica, con Silvio Berlusconi in testa. “Se questa Italia così com'è non ti piace, vieni con noi per cambiarla”. Così spiegò la discesa in campo, sfruttando il dissenso della popolazione, puntando a farli ragionare di pancia, più che di testa. E vinse.

Era un progetto politico, in antitesi con la politica stessa perpetuata fino ad allora. Oggi si chiamerebbe appunto “antipolitica”.

Dalla storia si impara e gli errori dovrebbero servire per crescere, eppure è bastata mezza stagione di governo tecnico, per consentire all’incandidabile cavaliere di ritornare in corsa. Questo perché la sua “opera” ha inciso più sul modificare la mentalità della società attuale, che le condizioni economiche del paese. Non esiste il concetto di “costruire per”, ma solo del “lottare contro”, si va perdendo il concetto di pensiero per la collettività a favore di un egoismo individualista.

Credo che chiunque si presenti oggi alla competizione per il governo del paese, debba necessariamente confrontarsi con i problemi  che esso ha.

La classe politica, costa sempre troppo e di certo oggi non è rappresentativa delle difficoltà della popolazione soprattutto in un periodo di crisi. Ma non va dimenticato che il problema di oggi è proprio la crisi stessa che influisce sull’indebolimento di uno dei punti cardine su cui è fondata la Repubblica Italiana, il lavoro.
Il lavoro, come argomento principale su cui articolare la discussione di un progetto politico, come priorità, darebbe dignità ad un qualunque schieramento. Si potrà poi discernere tra le proposte, discutere sull’opportunità di certe scelte piuttosto che altre, ma ciò che conta è prendere in carico l’argomento, sviscerarlo e trovare le soluzioni, prima di pensare a tutto il resto.

Si può dare per scontato che le politiche liberiste degli ultimi anni abbiano portato essenzialmente alla crescita del precariato, un po’ in tutti i settori, non generando certo, di contro, crescita e sviluppo per le imprese. Il lavoro precario non garantisce certo sicurezza per il presente e per il futuro e a sua volta minaccia anche la dignità degli individui, costretti sempre più spesso ad accettare condizioni svantaggiose pur di conservare “quello che c’è”.

Credo debba essere un tema di interesse primario. Vanno riviste e ridiscusse le oltre 40 tipologie di contratto lavorativo, rendendo magari il contratto a tempo “conveniente” più per il lavoratore che per l’impresa, portandolo a preferirlo al posto fisso, monotono a detta dei tecnici, ormai utopico per tutti gli altri.

In utopia è stata trasformata anche l’opportunità di una formazione di qualità e la speranza trovare occupazione nel settore della cultura e della scuola, tra i più maltrattati dagli ultimi governi.

Si sa che “un popolo ignorante diventa più facile da governare”. Ed è in quest’ottica che andrebbero lette riforme come quella della Gelmini, che hanno reso sempre più instabile il ruolo degli insegnanti e sempre più disagevole quello degli studenti di tutte le età. La ricchezza di un popolo si giudica anche dal suo livello culturale, dal suo progresso scientifico. Ed è evidente che i tagli alla ricerca ci hanno impoveriti.

Esperienze recenti dimostrano che il mantra “con la cultura non si mangia” è un falso. Con la cultura si mangia e si cresce, anche in sensibilità, se c’è l’interesse affinché questo accada investendoci risorse e dandole lo spazio che meriterebbe, soprattutto in un paese come il nostro che ne avrebbe da esportare.
Crescere culturalmente significa anche avere una consapevolezza dell’evolversi della società in cui si vive, comprendere i problemi, senza subirli.

Un altro argomento che sembrava dovesse essere una discriminante di questa campagna elettorale, ma che invece al momento sembra finito in secondo piano a favore dei deliri di due miliardari che fanno la gara a chi la spara più grossa, è quello dei diritti civili. Per diritti civili non si intendono solo i matrimoni e le adozioni per persone dello stesso sesso. Si tratta di tutto ciò che garantisce il rispetto dell’individuo, che non lo emargina o discrimina in base alla sua condizione umana.

Se c’è voluta una guerra prima di decidere di condannare il razzismo, come infimo comportamento dell’essere umano, spero ci vorrà molto meno per avere una legge contro l’omofobia.
Ogni ulteriore erogazione di libertà, riconoscimento delle coppie di fatto compreso, di certo non minaccia la libertà di chi non è d’accordo o sceglie di non servirsene. È un segno di crescita democratica e culturale, tutto qui.

Il diritto di cittadinanza è già un argomento di cui non dovrebbe neanche essere necessario discutere. La cittadinanza a chi nasce e cresce in questo paese va garantita sin da subito. Si sentirà più italiano chi nasce e cresce qui, di chi, invece, nato e vissuto altrove, acquisisce il passaporto in virtù del fatto di avere un lontano parente nato qui.

Tutti questi temi caratterizzano e danno colore ad un qualsiasi movimento. Ma sono cose che, ad esempio, non possono coinvolgere e far esporre l’antipolitica.

L’antipolitica, come il primo Berlusconi del 1994, punta più alla pancia, che alla testa. Fa leva sul dissenso, sulla rabbia e sulla delusione. Propone temi, a volte anche condivisibili, ma non si sofferma sulle questioni vitali, come quelle di cui sopra. Non lo fa semplicemente perché non può. Facendolo acquisirebbe una coloritura politica, oggi inopportuna per scelta.

Stando ai sondaggi, al netto delle quotazioni ippiche, la coalizione di centrosinistra di Italia Bene Comune, unica legittimata dalla corsa delle primarie, è in vantaggio ed è indicata come probabile vincitrice. Purtroppo una legge elettorale assurda, che gli ultimi 3 governi non sono riusciti o non hanno voluto cambiare, oltre all'aver eliminato le preferenze individuali sui candidati, mette a rischio la stabilità di un qualsiasi governo proposto, soprattutto al Senato.

Le prospettive per questa coalizione all'indomani del voto sono essenzialmente tre. La prima è che la coalizione guidata da Bersani ottenga i voti sufficienti per un governo stabile, senza estensioni né aperture ad altri, ad eccezione di temi importanti su cui un’ampia condivisione potrebbe essere più auspicabile che necessaria.

La seconda è quella di un’insufficienza di seggi al Senato, che imporrà la valutazione di larghe intese. C’è chi malignamente già pensa ad un’apertura verso il centro di Casini e Monti e chi magari spera in dialogo credibile con la sinistra di Ingroia. Valutata l’impossibilità di percorrere altre strade, la terza alternativa diverrebbe quella del ritorno alle urne, con seri rischi di generare un ulteriore ribaltone che porterebbe definitivamente il paese nel caos.

Ed è così che il voto a Sinistra Ecologia Libertà acquisisce maggior peso, per la sua cultura anti-liberista e volta alla giustizia sociale, con la possibilità di condizionare gli alleati sulla direzione in cui guardare, sui programmi da realizzare e sulle forze politiche con cui andare a discutere.

L’Italia ha bisogno di un governo stabile e democratico, che tenga conto di quella parte della popolazione che è stata ignorata e danneggiata dagli ultimi governi, che abbia a cuore la crescita del paese, senza sudditanze verso i poteri forti e senza interessi personali da proteggere.

Per queste ragioni, per il lavoro, per la dignità, per la cultura e per i diritti, che domenica prossima sceglierò Sinistra Ecologia Libertà e la coalizione di Italia Bene Comune, sperando che più che la pancia, si torni ad usare la testa e, magari, anche un po’ di cuore.