sabato 16 novembre 2013
domenica 6 ottobre 2013
La Tragedia, il Dolore e la Vergogna
Tragedie. Una brutta abitudine italiana è quella di ricordarsi di alcuni problemi solo a seguito di tragedie.
La Tragedia è quella che ci riporta l’attenzione su un argomento che stavamo trascurando e che stimola il circo mediatico, quello che accende i riflettori sulle cose e che, periodicamente, decide ciò di cui si deve parlare e a cui si deve pensare.
La Tragedia, porta sempre con sé cose come l’Indignazione, il Dolore, il Sangue, la Vergogna e tanti interrogativi che alimentano la discussione: “poteva essere evitata?”, ”qualcuno poteva limitarne i danni?”, “cosa fare perché non accada più?”.
Oggi la Tragedia si chiama Lampedusa.
Anche ieri, in verità, si chiamava con lo stesso nome, ma era una “tragedia minore”, da seconda o terza pagina, subito dopo le bizze dello “strano governo” e le sue “decadenze”.
Non interessava al circo e forse dava pure fastidio.
Lampedusa, si dice, è la porta dell’Europa al Mediterraneo. Una porta che la politica italiana ha sempre cercato di chiudere. Una porta che invece l’Europa vorrebbe sempre aperta, ma non spiega come e per chi.
Con Lampedusa oggi si riapre, ancora una volta, un dibattito politico sulla limitazione dei flussi migratori. Come se, in un mondo moderno sempre più globalizzato, il miscuglio, la contaminazione e l’integrazione tra i popoli possano essere evitati. Come se, il trovarci da questa parte del Mediterraneo, piuttosto che dall’altra, non fosse solo un fortunato caso.
La politica italiana, nel suo complesso, si è rivelata spesso inadeguata nel comprendere il concetto stesso di globalizzazione, restringendolo semplicemente ad una visione economica di estensione a livello planetario dei mercati e degli scambi internazionali.
Eppure il flusso migratorio è una parte integrante del mondo globalizzato, di cui spesso è stata fondamento e che, più che limitare, bisognerebbe saper gestire al meglio.
Lampedusa è stata spesso spettatrice delle diatribe di governo sul tema dell’immigrazione. Dai trattati dei nostri governi con dittatori oggi deposti e la “ripartizione” di migranti tra i nostri paesi confinanti, all’istituzione di leggi disumane come quella sul reato di clandestinità e la famigerata Bossi-Fini, che, già dal nome, dovrebbe lasciar intuire con quale logica e spirito “umanitario” è stata concepita.
Leggi utili a chi le ha sfruttate per delle campagne elettorali ispirate al terrorismo psicologico e mediatico e al populismo. Leggi per cui spesso l’Europa ci ha bacchettati e ripresi.
L’Europa, la stessa che i nostri governanti accusano di eccessiva distanza da certe nostre emergenze, forse perché le conviene o più probabilmente perché ci considera capaci di gestirli da soli.
L’Europa, che tanto pretende e poco dà, l’Europa che, evidentemente, ci sopravvaluta.
Ma è giusto dare la colpa di quanto è successo all’Europa?
Eppure certi leghisti o certi fomentatori d’odio razziale, i personaggi da “io non sono razzista, però…”, che ci fanno cadere la faccia ogni volta che aprono bocca, ce li siamo votati noi. Alcuni, come premio, glieli abbiamo pure mandati, in Europa.
Le leggi xenofobe le ha promosse la stessa classe politica che ci ha governati per anni, che non ha mai pensato di rivederle, quella che vive per sopravvivere e non per il benessere delle comunità e che oggi perde pure del tempo a decidere se un condannato deve decadere o no dal suo ruolo di parlamentare.
Oggi piangiamo un numero incalcolabile di morti. Dei morti a cui non importava niente della Bossi-Fini, niente del fatto che il loro solo esistere per lo Stato italiano fosse già un reato, né di quale sarebbe stato il loro destino una volta sbarcati.
Non gli importava niente dei governi, dei dittatori e dell’Europa. Niente degli ammonimenti e del solito gioco dello scaricabarile che non risolve i problemi.
Lampedusa per loro era un passaggio obbligato della loro fuga, non certo un luogo di villeggiatura, la prima tappa di un viaggio lungo e incerto. Lampedusa era anche la speranza, per chi voleva ricostruirsi una vita, lontano da un inferno di guerre e persecuzioni, magari ricongiungendosi con i propri cari già risiedenti in giro per il continente.
Oggi ci sono l’Indignazione, il Dolore e la Vergogna. Ma domani, a fari spenti, cosa rimarrà di questo momento? Chi ricorderà che si trattava di uomini, ma anche di donne e di bambini? Cosa importerà se le ragioni del loro viaggio della speranza non erano di lavoro ma di sopravvivenza?
Questo è il paese che ha avuto il coraggio di considerare reato la clandestinità, che condanna chi soccorre in mare le imbarcazioni in difficoltà, che ancora fatica a considerare “Italiani” i cittadini di seconda generazione.
Il paese che, nonostante il persistente stato di emergenza, si fa trovare sempre così impreparato dal non riuscire a trovare soluzioni di accoglienza migliori dei CIE.
Un paese che continua ad eleggere chi ha avuto il coraggio di abbandonare degli esseri umani al proprio destino, di renderli merce per i trafficanti di uomini e di privarli della loro libertà, per confinarli in centri accoglienza per un lasso di tempo indefinibile, in attesa di una burocrazia sempre troppo lenta e incapace.
Un paese capace di essere caritatevole e assassino allo stesso tempo.
C’è anche chi obietta che sarebbe giusto aiutarli, ma “a casa loro”.
Molti di loro fuggono da paesi in guerra civile e una “casa loro” non ce l’hanno neanche più, spesso sono stati costretti a lasciarla per non farla divenire anche la loro tomba. E poi, sappiamo bene, le ultime volte che abbiamo “aiutato” qualcuno a casa sua, portandogli libertà e democrazia, come è andata a finire.
Anche noi siamo stati un popolo di emigranti, ma dalla memoria corta. Anche noi siamo stati disprezzati al nostro arrivo in terra straniera, anche noi accusati di aver “importato” la nostra criminalità nel paese ospitante.
Anche noi oggi viviamo in una terra che si fa sempre più inospitale, che non ha cura dei suoi abitanti e che anzi li spinge sempre più ad allontanarsene. Anche noi siamo fuggiti e fuggiamo ancora.
Oggi l’argomento torna attuale perché è scoppiata la Tragedia, per una settimana o una decina di giorni, il circo mediatico ha puntato i suoi riflettori, ha il suo argomento da prima pagina.
La fiera dell’ipocrisia si è subito scatenata e tra i suoi partecipanti ha trovato anche gli insospettabili, i responsabili di questi disastri, quelli che oggi lanciano proclami e sensibilizzano ad un lutto nazionale, che donano la cittadinanza italiana ai morti, ma che indagano i vivi.
Come si può ritenere di avere la coscienza pulita, con tanto sangue a sporcare le nostre coste? Come si riesce a guardare con sufficienza certe scene senza riconoscere tra le vittime quello che potrebbe essere nostro fratello, nostro figlio o un nostro amico?
Bisogna spazzare via certe leggi e bisogna farlo presto, prima che la Tragedia torni in terza pagina, prima che il circo ci dica di parlare e pensare ad altro e che tutto questo venga, ancora una volta, dimenticato.
Altrimenti, passata l’Indignazione, affievolitosi il Dolore, ci rimarranno soltanto il Sangue e la Vergogna, quella di essere ipocriti.
martedì 18 giugno 2013
venerdì 7 giugno 2013
Che sarebbe stata una campagna elettorale molto dura e faticosa, che non sarebbero certo mancate le critiche, le provocazioni e le offese personali. Che d’altro canto sarebbero potute arrivare anche attestazioni di stima e di rispetto, che per fortuna non sono mai mancate. Ma soprattutto ero cosciente che candidarsi voleva dire mettersi in discussione, sfruttare l’esperienza accumulata in questi anni e dare un giusto epilogo ad un percorso intrapreso ormai da più di 13 anni.
È il momento giusto per fare un primo bilancio di quest’esperienza inedita.
Mi sono trovato in un gruppo che col passare del tempo si è compattato sempre più, che oggi è molto coeso, proprio grazie alla condivisione di questa esperienza. Un gruppo che credo m’abbia valorizzato pienamente. Un gruppo che ha saputo stringersi attorno al suo candidato sindaco, nei tanti momenti di difficoltà.
Dopo un comizio in piazza, che agli inizi non avrei mai immaginato di saper fare, dopo i comizi rionali su cui, con un po’ di “sana follia”, ci siamo buttati con l’entusiasmo e l’orgoglio di chi crede davvero in quel che dice e che sta facendo, non posso che avere un ricordo positivo di quest’esperienza.
Abbiamo offerto ai palazzolesi una proposta amministrativa, abbiamo cercato di far passare il messaggio che esiste un gruppo che si sta mettendo in gioco con un progetto di amministrazione diversa, che abbia come priorità il benessere dei cittadini e la ricostruzione in modo organico di ogni settore del paese. L’abbiamo fatto mettendoci l’anima e la faccia in tutte le occasioni possibili, abbiamo voluto dire che “noi ci siamo” e non abbiamo vergogna di dirlo, abbiamo cercato di far sentire le nostre voci, di farle sentire tutte.
Ed è doveroso un ringraziamento sentito a chi sin dall'inizio si è adoperato per sostenermi.
Agli amici, quelli veri, a cui il voto non è stato neanche necessario chiederlo, e ad altri, che magari hanno vissuto il confronto con l’imbarazzo di chi non vuole scontentare chi è candidato altrove, fiducioso che alla fine sapranno fare la scelta giusta. A tutti coloro che, oltre ad impegnarsi CON me, si sono impegnati PER me, coinvolgendo e convincendo anche altre persone a darmi sostegno. A tutti quelli che mi avevano già scelto prima ancora che andassi a chiederlo, a chi ha tenuto a dimostrare che non sono solo. A chi avrebbe voluto votarmi ma non può e si è speso come ha potuto, a chi mi è stato accanto, nonostante la stanchezza, dopo ogni giornata di questa lunga campagna elettorale.
Adesso finalmente arriva il silenzio. La speranza è che l’11 giugno Palazzolo possa finalmente risvegliarsi libera e cosciente delle proprie potenzialità, finora inespresse. Che possa rianimarsi, come è stato in queste settimane, ma stavolta con i presupposti sani di una comunità che vuole risorgere e che non ci sta ad essere condannata al declino, che abbia voglia di rialzarsi e finalmente ripartire.
mercoledì 17 aprile 2013
mercoledì 10 aprile 2013
Vuoti a perdere
domenica 17 marzo 2013
FB #17.3.13
venerdì 22 febbraio 2013
La pancia e la testa
In utopia è stata trasformata anche l’opportunità di una formazione di qualità e la speranza trovare occupazione nel settore della cultura e della scuola, tra i più maltrattati dagli ultimi governi.
Si sa che “un popolo ignorante diventa più facile da governare”. Ed è in quest’ottica che andrebbero lette riforme come quella della Gelmini, che hanno reso sempre più instabile il ruolo degli insegnanti e sempre più disagevole quello degli studenti di tutte le età. La ricchezza di un popolo si giudica anche dal suo livello culturale, dal suo progresso scientifico. Ed è evidente che i tagli alla ricerca ci hanno impoveriti.