mercoledì 23 maggio 2012

Nel 1992 avevo 9 anni


Nel 1992 avevo 9 anni.

E ricordo come, a un bambino di 9 anni, diedero la notizia della strage di Capaci, avevano ammazzato un giudice insieme alla sua scorta.
E lo aveva ammazzato la mafia.


Così a scuola ci fu spiegato che cos’è la mafia, cosa vuol dire sacrificare la propria vita lottando contro di essa e cosa significa vivere con una scorta o farne parte.

Durante le ore di scuola ci fecero guardare i funerali in televisione.
Fu una giornata emotivamente molto forte.
La cattedrale strapiena, Il discorso della vedova Schifani, le maestre che piangevano davanti al televisore.

Sembrava avessimo tutti perso una parte della nostra famiglia e alcuni dei nostri amici. Avevamo perso dei padri, degli zii, dei fratelli.
Quelli che, per un bambino di 9 anni, sono i modelli da imitare.

E la mafia, quell’organizzazione criminale, così mitizzata, così distante, come fosse solo la protagonista mitologica di una serie di telefilm, improvvisamente diventava reale, minacciosa e brutale.

Negli anni si è scritto e detto molto su quella stagione.

Una situazione politica instabile, con buona parte dei partiti travolti dagli scandali.
La sfiducia crescente dei cittadini nello Stato e nelle sue istituzioni.
La ricerca di una risposta politica alle tante esigenze della popolazione che si sentiva inascoltata.

L’ipotesi concreta di una trattativa tra Stato e criminalità organizzata proprio per frenare quell’ondata di terrore.
L’avvento della seconda repubblica e il berlusconismo, con la preoccupazione costante che i legami col passato non siano mai stati veramente recisi.

Allora le istituzioni presero impegno formale affinché gli sforzi, le conquiste e i risultati di Falcone e, in seguito, di Borsellino, non fossero dimenticati, per non rendere inutile il loro sacrificio.

Ma ad oggi, nonostante i molti arresti eccellenti degli ultimi anni, ben poco di quell’impegno è stato mantenuto.

Ci ricordiamo di loro, è vero, e ce ne ricordiamo a cadenza annuale, ognuno con la sua data e la sua cerimonia di commemorazione.
Ma spesso c'è l'impressione che dietro a quelle celebrazioni si nasconda solo un obbligo formale, di facciata, mai troppo concreto, voluto e convinto.
È mancato il cambio di mentalità, anche nei localismi e nelle piccole cose.

Lo dimostra la presenza nella politica attuale di molte figure che, saltuariamente, si ritrovano degli ingombranti scheletri negli armadi, arrivando anche a giudicare eroici i comportamenti di quei pentiti che si scordano di citarli.

Figure che puntualmente rimangono al potere, come se le accuse per mafia fossero state semplici “incidenti di percorso”, che la politica mantiene impunite e che la popolazione spesso colpevolmente rispetta e premia rieleggendole.

Lo dimostrano le difficoltà con cui si trovano a vivere gli “eredi” di Falcone e Borsellino, coloro che non hanno ancora smesso di lottare e che continuano a rischiare ogni giorno, sempre con minori tutele e con crescenti rischi per la propria incolumità.

Spesso il giudizio su di loro oscilla tra un’eccessiva mitizzazione, pur trattandosi sempre e comunque di esseri umani imperfetti, e lo sminuimento della loro credibilità, in quanto eccessivamente allarmisti e scomodi.

Poi ci sono realtà come TeleJato, che da anni rischiano e resistono alle pressioni e alle minacce mafiose, il cui impegno è stato premiato dallo Stato con un totale disinteresse, avviando il compimento, di fatto, di ciò che alla mafia non era riuscito, cioè farla scomparire.

Sarebbe quindi giusto pretendere un supporto diverso da un governo così forte con i deboli, quando si tratta di riscuotere e tartassare, ma così accondiscendente coi poteri forti, da dimenticare tutte quelle persone e quelle organizzazioni che danno ancora una dignità vera ad una nazione e ad un’isola così spesso umiliate.

Falcone, Borsellino e tutti gli altri, non meritano di essere l’oggetto di una commemorazione superficiale ricorrente. Sarebbe bello se diventassero esempi di vita quotidiana, per la classe politica e per la società.

Hanno lasciato la traccia per un modello da seguire, quel modello da imitare che chi era bambino nel ‘92 guardava ammirato ed intimorito allo stesso tempo, che impressionava per la fiducia nei valori, il senso del dovere, il coraggio e l’eroismo dimostrati nell’aver continuato a mantenere la schiena dritta, fino alla fine.

Ed è questo il ricordo che preferisco.


“Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell'esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell'amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere.” (G. Falcone)