Sicuramente gli ultimi anni sono stati contraddistinti da
una classe politica che ha curato poco o nulla gli interessi del paese,
anteponendo e privilegiando i propri.
I casi di corruzione, le tangenti, gli scandali vari, hanno
portato il paese a rivivere in qualche modo, a distanza di soli 20 anni, una
delle epoche peggiori della storia repubblicana. Nel 1992 Tangentopoli portò
alla dissoluzione dei principali partiti che avevano governato il paese,
alternandosi, sin dal dopoguerra. Salvo alcune eccezioni, come il PCI, l’intera
classe politica e l’intero sistema furono travolti dallo scandalo.
Le risposte da parte degli elettori furono di disaffezione e sfiducia verso l’intero
mondo politico. Tutto ciò favorì l’ascesa di nuovi soggetti, quelli da seconda
Repubblica, con Silvio Berlusconi in testa. “Se questa Italia così com'è non ti
piace, vieni con noi per cambiarla”. Così spiegò la discesa in campo,
sfruttando il dissenso della popolazione, puntando a farli ragionare di pancia,
più che di testa. E vinse.
Era un progetto politico, in antitesi con la politica stessa
perpetuata fino ad allora. Oggi si chiamerebbe appunto “antipolitica”.
Dalla storia si impara e gli errori dovrebbero servire per
crescere, eppure è bastata mezza stagione di governo tecnico, per consentire
all’incandidabile cavaliere di ritornare in corsa. Questo perché la sua “opera”
ha inciso più sul modificare la mentalità della società attuale, che le
condizioni economiche del paese. Non esiste il concetto di “costruire per”, ma
solo del “lottare contro”, si va perdendo il concetto di pensiero per la
collettività a favore di un egoismo individualista.
Credo che chiunque si presenti oggi alla competizione per il
governo del paese, debba necessariamente confrontarsi con i problemi che esso ha.
La classe politica, costa sempre troppo e di certo oggi non è
rappresentativa delle difficoltà della popolazione soprattutto in un periodo di
crisi. Ma non va dimenticato che il problema di oggi è proprio la crisi stessa che
influisce sull’indebolimento di uno dei punti cardine su cui è fondata la
Repubblica Italiana, il lavoro.
Il lavoro, come argomento principale su cui articolare la
discussione di un progetto politico, come priorità, darebbe dignità ad un
qualunque schieramento. Si potrà poi discernere tra le proposte, discutere
sull’opportunità di certe scelte piuttosto che altre, ma ciò che conta è
prendere in carico l’argomento, sviscerarlo e trovare le soluzioni, prima di pensare
a tutto il resto.
Si può dare per scontato che le politiche liberiste degli
ultimi anni abbiano portato essenzialmente alla crescita del precariato, un po’
in tutti i settori, non generando certo, di contro, crescita e sviluppo per le
imprese. Il lavoro precario non garantisce certo sicurezza per il presente e
per il futuro e a sua volta minaccia anche la dignità degli individui,
costretti sempre più spesso ad accettare condizioni svantaggiose pur di
conservare “quello che c’è”.
Credo debba essere un tema di interesse primario. Vanno
riviste e ridiscusse le oltre 40 tipologie di contratto lavorativo, rendendo
magari il contratto a tempo “conveniente” più per il lavoratore che per l’impresa,
portandolo a preferirlo al posto fisso, monotono a detta dei tecnici, ormai utopico
per tutti gli altri.
In utopia è stata trasformata anche l’opportunità di una formazione di qualità e la speranza trovare occupazione nel settore della cultura e della scuola, tra i più maltrattati dagli ultimi governi.
Si sa che “un popolo ignorante diventa più facile da governare”. Ed è in quest’ottica che andrebbero lette riforme come quella della Gelmini, che hanno reso sempre più instabile il ruolo degli insegnanti e sempre più disagevole quello degli studenti di tutte le età. La ricchezza di un popolo si giudica anche dal suo livello culturale, dal suo progresso scientifico. Ed è evidente che i tagli alla ricerca ci hanno impoveriti.
Esperienze recenti dimostrano che il mantra “con la cultura
non si mangia” è un falso. Con la cultura si mangia e si cresce, anche in
sensibilità, se c’è l’interesse affinché questo accada investendoci risorse e
dandole lo spazio che meriterebbe, soprattutto in un paese come il nostro che
ne avrebbe da esportare.
Crescere culturalmente significa anche avere una
consapevolezza dell’evolversi della società in cui si vive, comprendere i
problemi, senza subirli.
Un altro argomento che sembrava dovesse essere una
discriminante di questa campagna elettorale, ma che invece al momento sembra
finito in secondo piano a favore dei deliri di due miliardari che fanno la gara
a chi la spara più grossa, è quello dei diritti civili. Per diritti civili non
si intendono solo i matrimoni e le adozioni per persone dello stesso sesso. Si
tratta di tutto ciò che garantisce il rispetto dell’individuo, che non lo
emargina o discrimina in base alla sua condizione umana.
Se c’è voluta una guerra prima di decidere di condannare il
razzismo, come infimo comportamento dell’essere umano, spero ci vorrà molto
meno per avere una legge contro l’omofobia.
Ogni ulteriore erogazione di libertà, riconoscimento delle
coppie di fatto compreso, di certo non minaccia la libertà di chi non è d’accordo
o sceglie di non servirsene. È un segno di crescita democratica e culturale,
tutto qui.
Il diritto di cittadinanza è già un argomento di cui non
dovrebbe neanche essere necessario discutere. La cittadinanza a chi nasce e
cresce in questo paese va garantita sin da subito. Si sentirà più italiano chi
nasce e cresce qui, di chi, invece, nato e vissuto altrove, acquisisce il passaporto
in virtù del fatto di avere un lontano parente nato qui.
Tutti questi temi caratterizzano e danno colore ad un
qualsiasi movimento. Ma sono cose che, ad esempio, non possono coinvolgere e
far esporre l’antipolitica.
L’antipolitica, come il primo Berlusconi del 1994, punta più
alla pancia, che alla testa. Fa leva sul dissenso, sulla rabbia e sulla
delusione. Propone temi, a volte anche condivisibili, ma non si sofferma sulle
questioni vitali, come quelle di cui sopra. Non lo fa semplicemente perché non
può. Facendolo acquisirebbe una coloritura politica, oggi inopportuna per
scelta.
Stando ai sondaggi, al netto delle quotazioni ippiche, la
coalizione di centrosinistra di Italia Bene Comune, unica legittimata dalla corsa delle primarie, è in vantaggio ed è indicata
come probabile vincitrice. Purtroppo una legge elettorale assurda, che gli
ultimi 3 governi non sono riusciti o non hanno voluto cambiare, oltre all'aver eliminato le preferenze individuali sui candidati, mette a rischio la stabilità
di un qualsiasi governo proposto, soprattutto al Senato.
Le prospettive per questa coalizione all'indomani del voto
sono essenzialmente tre. La prima è che la coalizione guidata da Bersani
ottenga i voti sufficienti per un governo stabile, senza estensioni né aperture
ad altri, ad eccezione di temi importanti su cui un’ampia condivisione potrebbe
essere più auspicabile che necessaria.
La seconda è quella di un’insufficienza di seggi al Senato,
che imporrà la valutazione di larghe intese. C’è chi malignamente già pensa ad un’apertura verso
il centro di Casini e Monti e chi magari spera in dialogo credibile con la
sinistra di Ingroia. Valutata l’impossibilità di percorrere altre strade, la
terza alternativa diverrebbe quella del ritorno alle urne, con seri rischi di
generare un ulteriore ribaltone che porterebbe definitivamente il paese nel
caos.
Ed è così che il voto a Sinistra Ecologia Libertà acquisisce
maggior peso, per la sua cultura anti-liberista e volta alla giustizia sociale, con
la possibilità di condizionare gli alleati sulla direzione in cui guardare, sui
programmi da realizzare e sulle forze politiche con cui andare a discutere.
L’Italia ha bisogno di un governo stabile e democratico, che
tenga conto di quella parte della popolazione che è stata ignorata e danneggiata
dagli ultimi governi, che abbia a cuore la crescita del paese, senza sudditanze
verso i poteri forti e senza interessi personali da proteggere.
Per queste ragioni, per il lavoro, per la dignità, per la
cultura e per i diritti, che domenica prossima sceglierò Sinistra Ecologia
Libertà e la coalizione di Italia Bene Comune, sperando che più che la pancia,
si torni ad usare la testa e, magari, anche un po’ di cuore.