lunedì 3 dicembre 2012

Primarie - Il giorno dopo


“Sconfitta netta, Pier  Luigi saremo leali con te”. Così Matteo Renzi ha parlato dopo i primi risultati delle primarie. In perfetto stile americano, lo stesso di Romney dopo la sconfitta con Obama.

Già, lo stile americano, quello che ha contraddistinto buona parte della sua campagna, punto di forza e allo stesso tempo di debolezza del suo progetto.

Quello che consente di far un’ottima campagna comunicativa, puntando sul linguaggio e sulle emozioni, permettendo di non focalizzare troppo l’attenzione sulle reazioni che potrebbero suscitare certi contenuti.

Ma anche quello che si contraddistingue per il fair play tra candidati che letteralmente “si scannano” fino al giorno prima del voto, ma che poi si dicono disponibili a mettersi a disposizione del vincitore dal giorno dopo dei risultati.

“Saremo leali con te”. Ed è questo che ci si aspetta non solo da Renzi, ma anche dai suoi sostenitori, sicuramente diversi dalla platea a cui tradizionalmente si è rivolto il PD.

Il tutto per spazzare via certe accuse di essere antagonisti a tutto ciò che naturalmente apparterrebbe al centrosinistra, ma soprattutto per non vanificare il magnifico risultato che tutto il centrosinistra ha ottenuto durante queste primarie.

In un momento storico di sfiducia nella politica e nei partiti, con il moltiplicarsi di movimenti politici e antipolitici di orientamento ondivago, in un’epoca di astensionismo a livelli da record, la media di quasi tre milioni di votanti nei due turni rappresenta già da sé un risultato significativo. Perché quando la gente ha già poca voglia di votare, chiederle di farlo due volte nel giro di una settimana, può portare a risultati imprevedibili.

Adesso arriva la parte più complessa, che diventerà ancora più difficile se viene data per scontata. Bisogna vincere le elezioni, con sondaggi che vedono già i partiti della coalizione ai primi posti.

Ma guai a pensare di avere già vinto. Ci sono ancora altri quattro o cinque mesi in cui può succedere di tutto, in cui la “concorrenza”, quella vera, può tirar fuori i cosiddetti “dinosauri” che escono dal cilindro o nuove ricette alternative populiste fondate sul malcontento della gente.

Ed è proprio a quel malcontento che bisogna far riferimento, a tutti quei disaffezionati che da troppo tempo cercano risposte che la politica non gli ha più dato. A chi non ha votato a queste primarie, perché è deluso o perché strumentalmente frenato dal contributo minimo, a chi non ha ancora dato fiducia a questa offerta politica.

Va riavvicinata la gente, facendo sì che essa riprenda ad osservare, discutere e, se necessario, litigare, parlando di politica. Un po’ come è già avvenuto tra i veleni e il fair play di queste primarie.

E va raccolto quanto di buono hanno rappresentato tutte le “anime” di questa contesa.

È evidente che un rinnovamento sia necessario; nella classe dirigente, nei parlamentari, magari, anche, tra i possibili ministri. Serve un rinnovamento, soprattutto di qualità e non necessariamente anagrafico, che non si trasformi in una semplice restyling di facciata.

Bisogna tornare a parlare di sinistra, di argomenti di sinistra e da un punto di vista di sinistra; dando spazio anche alle campagne per il “bene comune” di questi anni, rivitalizzando la cultura, la ricerca e la scuola pubblica.

Bisogna dar voce a tutte le categorie di lavoratori e di persone che, in questo momento delicato, soffrono e subiscono la crisi e le politiche d’austerità. Categorie che hanno bisogno di essere rappresentate o, magari, dovrebbero autorappresentarsi in Parlamento.

Sarà necessario, non solo differenziarsi dagli avversari, ma anche decidere come rapportarsi nei confronti di Monti e del governo dei tecnici, di cui il Partito Democratico rimane ancora oggi uno dei principali sostenitori.

Durante la campagna per le primarie, l’agenda Monti è stata usata come distinguo da parte di Nichi Vendola, ma è stato anche un argomento su cui proprio i candidati appartenenti al Partito Democratico hanno sapientemente sorvolato, senza prendere mai posizioni nette a favore o in contrasto.

Di certo c’è che l’idea bersaniana e renziana di riproporre in un eventuale governo di centrosinistra alcuni ministri-tecnici di quello attuale, andrà ripensata e ridiscussa, sentendo soprattutto gli umori degli altri componenti della coalizione, sicuramente decisivi per il risultato delle primarie.

C’è poi la questione delle alleanze. Con la vittoria di Bersani, il legame tra PD, SEL e PSI dovrebbe rimanere saldo, almeno finché non si va a governare.

L’interrogativo potrebbe spostarsi sull’autosufficienza di questa offerta per il raggiungimento del tanto sperato 55% dei seggi, che garantisca anche quella solidità che l’ultimo governo Prodi, di cui Bersani era ministro, non ha mai avuto.

Sarà sicuramente un ritornello costante, almeno fino all’ufficializzazione delle candidature di tutti gli schieramenti, il tema dell’alleanza con quel Casini che non ha mai realmente sciolto le sue riserve sul centrosinistra, deciso sostenitore di Monti e probabile proponente di un eventuale Monti bis. Ma l’attuale calo dell’UDC e la spinta ricevuta dalle primarie per i tre partiti della coalizione, potrebbe anche rendere meno appetibile l’approfondimento di un argomento che di sicuro porterebbe scontento e malumore tra gli elettori e tra gli attuali o potenziali alleati.

Guardando a sinistra c’è un altro cantiere in corso. È stato già ribattezzato il “quarto polo”, quello delle liste civiche arancioni, capeggiate da Luigi De Magistris, tra i protagonisti dei successi della cosiddetta “primavera arancione” del centrosinistra  dello scorso anno, che sembrano già risalire a una vita fa.

Un progetto speranzoso, ancora in via di definizione, che nasce differenziandosi dalla coalizione di Italia Bene Comune, senza però mai porsi in antitesi con essa.

Le dichiarazioni di De Magistris stesso, durante il primo turno delle primarie, lasciavano più di una porta aperta alla costruzione di un percorso comune con il vincitore della contesa. Così come quelle di un altro sindaco virtuoso, Giuliano Pisapia, uscito dagli schemi di imparzialità che il movimento s’era imposto e dichiaratosi deciso sostenitore di Nichi Vendola.

Dalle cronache sta invece scomparendo l’Italia dei valori, unica forza, insieme alla Lega, che si oppone al governo Monti in Parlamento.

I recenti scandali, gli endorsement di Grillo per il suo leader che, a sua volta, ricambia a giorni alterni e la diaspora da parte di alcuni dei suoi esponenti più rappresentativi, stanno facendo scivolare in basso i consensi  del partito di Antonio Di Pietro, che potrebbe essere costretto a farsi inglobare da qualcuno per non finire nel dimenticatoio.

Qualche segnale lo si era già percepito dalle sue “indicazioni di voto” per Bersani e Vendola e dalla richiesta di poter aderire alla Carta d’intenti, avanzata già tempo fa.

Si dice che la sconfitta di Renzi porterà all’inevitabile ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi.

Magari al Paese gioverà poco, ma potrebbe far bene al mondo dello sport. Forse finalmente il Milan tornerà ad avere una campagna acquisti decente.

sabato 1 dicembre 2012

Ballottaggio


In un ballottaggio, di solito, gli ultimi due contendenti cercano il consenso anche tra gli elettori di chi è arrivato dopo di loro.

Lo fanno cercando di raccoglierne o magari rielaborarne le proposte, facendole proprie.

Non accusando l’uno o l’altro di essere in chissà quali difficoltà, per aver rifiutato di dare un’indicazione di voto di un certo tipo.

Il progetto a cui ho aderito, evidentemente, era un altro. Trovare una via d’uscita a sinistra, con nuove idee e proposte di sinistra alla crisi che la società e la politica italiana oggi stanno vivendo. Spostare l’asse di questa coalizione “democratica e riformista” da un lato in cui la politica non è mai stata in questi anni.

Oggi le “primarie del Centrosinistra”, che molti strumentalmente hanno sempre chiamato “primarie del PD”, si trasformano nelle “primarie del PD con i voti del Centrosinistra e probabilmente anche di quel che resta del centrodestra”.

La contesa doveva essere interna, ma la si è trasformata in uno scontro globale tra candidati che, almeno sulla carta, dovrebbero appartenere alla stessa parte politica.

Ed infatti il dibattito si è spostato sul ruolo che il principale partito della coalizione, il PD, dovrà avere nel prossimo futuro, sulle sue priorità e sugli alleati che dovrà o non dovrà avere.

Non credo in un PD a vocazione maggioritaria. È un errore già fatto nel recente passato, che è costato una sconfitta a favore del candidato Berlusconi (uno che la vocazione maggioritaria tende ad averla all’interno del suo stesso partito) e che ha cancellato dal parlamento qualsiasi formazione di ispirazione socialista, ambientalista o comunista. Credo in una coalizione di responsabilità ed è per questo che ho firmato la carta d’intenti.

Non mi convince chi passa il tempo a differenziarsi dagli alleati, senza mai spendere una parola di critica verso quelli che sarebbero gli avversari naturali e il loro modo di fare politica. Quando la campagna per le primarie sarà finita, sarà bene ci si ricordi che gli avversari veri con cui confrontarsi sono quelli del populismo e dell’antipolitica e i portatori di soluzioni, sempre sulla carta, antitetiche a quelle di questa coalizione.

Non mi fido di chi usa un sorriso per accattivare le simpatie, usando il pretesto del ricambio generazionale, oggi invocato praticamente da tutti, come soluzione ai mali di una politica che non si è mai evoluta nelle proposte e nelle soluzioni. Non posso credere in chi viaggia sul filo delle regole, aggirandole per i suoi scopi. Ne abbiamo già avuto uno così, per quasi 20 anni.

Non mi piace chi vuole trasformare una bellissima esperienza di partecipazione democratica, in uno sporco regolamento di conti.

Non posso dare fiducia a chi non ha esperienza per governare il paese, dopo aver dimostrato la propria incapacità nel governare una sola città.

Vorrei un Centrosinistra, non solo un PD, che torni a parlare con le classi deboli, che ne ascolti i disagi e che ne elabori le soluzioni.

Vorrei si iniziasse a discutere seriamente di diritti civili, del reddito di cittadinanza, delle seconde generazioni.

Vorrei una politica estera seria e chiara, senza ambiguità né sudditanze.

Vorrei dei provvedimenti seri per la lotta all'evasione, unico modo per poter pretendere e giustificare una riduzione della pressione fiscale. Vorrei una svolta vera sul piano economico e sociale.

Mi piacerebbe vedere la fine del populismo e il ritorno del lavoro e della cultura come preoccupazioni principali di un programma di governo e che finalmente si riuscisse a rompere il mantra del “sonotuttiuguali”.

Vorrei che fosse garantito almeno il rispetto della carta d’intenti e che si proseguisse verso la costruzione del nuovo centrosinistra.

La costruzione di un’alternativa a quanto c’è stato finora, per progredire finalmente dopo anni di involuzione politica, economica e culturale.

Per questo e molto altro, voglio fidarmi e scegliere Pier Luigi Bersani.

martedì 2 ottobre 2012

FB #2.10.12

In Germania hanno i Cd coi nomi degli evasori coi conti in Svizzera. Qualcuno informi la Merkel che in Italia abbiamo i masterizzatori.

venerdì 28 settembre 2012

FB #28.9.12

#iphone5 io non me lo compro. non mi piace il touch screen, non c'ho tutti quei soldi da spendere e mi secca fare le file, considerato che poi sono io che do loro i soldi. però alle manifestazioni sensate penso che ci andrò. ovviamente se non sono sull'iphone.

mercoledì 23 maggio 2012

Nel 1992 avevo 9 anni


Nel 1992 avevo 9 anni.

E ricordo come, a un bambino di 9 anni, diedero la notizia della strage di Capaci, avevano ammazzato un giudice insieme alla sua scorta.
E lo aveva ammazzato la mafia.


Così a scuola ci fu spiegato che cos’è la mafia, cosa vuol dire sacrificare la propria vita lottando contro di essa e cosa significa vivere con una scorta o farne parte.

Durante le ore di scuola ci fecero guardare i funerali in televisione.
Fu una giornata emotivamente molto forte.
La cattedrale strapiena, Il discorso della vedova Schifani, le maestre che piangevano davanti al televisore.

Sembrava avessimo tutti perso una parte della nostra famiglia e alcuni dei nostri amici. Avevamo perso dei padri, degli zii, dei fratelli.
Quelli che, per un bambino di 9 anni, sono i modelli da imitare.

E la mafia, quell’organizzazione criminale, così mitizzata, così distante, come fosse solo la protagonista mitologica di una serie di telefilm, improvvisamente diventava reale, minacciosa e brutale.

Negli anni si è scritto e detto molto su quella stagione.

Una situazione politica instabile, con buona parte dei partiti travolti dagli scandali.
La sfiducia crescente dei cittadini nello Stato e nelle sue istituzioni.
La ricerca di una risposta politica alle tante esigenze della popolazione che si sentiva inascoltata.

L’ipotesi concreta di una trattativa tra Stato e criminalità organizzata proprio per frenare quell’ondata di terrore.
L’avvento della seconda repubblica e il berlusconismo, con la preoccupazione costante che i legami col passato non siano mai stati veramente recisi.

Allora le istituzioni presero impegno formale affinché gli sforzi, le conquiste e i risultati di Falcone e, in seguito, di Borsellino, non fossero dimenticati, per non rendere inutile il loro sacrificio.

Ma ad oggi, nonostante i molti arresti eccellenti degli ultimi anni, ben poco di quell’impegno è stato mantenuto.

Ci ricordiamo di loro, è vero, e ce ne ricordiamo a cadenza annuale, ognuno con la sua data e la sua cerimonia di commemorazione.
Ma spesso c'è l'impressione che dietro a quelle celebrazioni si nasconda solo un obbligo formale, di facciata, mai troppo concreto, voluto e convinto.
È mancato il cambio di mentalità, anche nei localismi e nelle piccole cose.

Lo dimostra la presenza nella politica attuale di molte figure che, saltuariamente, si ritrovano degli ingombranti scheletri negli armadi, arrivando anche a giudicare eroici i comportamenti di quei pentiti che si scordano di citarli.

Figure che puntualmente rimangono al potere, come se le accuse per mafia fossero state semplici “incidenti di percorso”, che la politica mantiene impunite e che la popolazione spesso colpevolmente rispetta e premia rieleggendole.

Lo dimostrano le difficoltà con cui si trovano a vivere gli “eredi” di Falcone e Borsellino, coloro che non hanno ancora smesso di lottare e che continuano a rischiare ogni giorno, sempre con minori tutele e con crescenti rischi per la propria incolumità.

Spesso il giudizio su di loro oscilla tra un’eccessiva mitizzazione, pur trattandosi sempre e comunque di esseri umani imperfetti, e lo sminuimento della loro credibilità, in quanto eccessivamente allarmisti e scomodi.

Poi ci sono realtà come TeleJato, che da anni rischiano e resistono alle pressioni e alle minacce mafiose, il cui impegno è stato premiato dallo Stato con un totale disinteresse, avviando il compimento, di fatto, di ciò che alla mafia non era riuscito, cioè farla scomparire.

Sarebbe quindi giusto pretendere un supporto diverso da un governo così forte con i deboli, quando si tratta di riscuotere e tartassare, ma così accondiscendente coi poteri forti, da dimenticare tutte quelle persone e quelle organizzazioni che danno ancora una dignità vera ad una nazione e ad un’isola così spesso umiliate.

Falcone, Borsellino e tutti gli altri, non meritano di essere l’oggetto di una commemorazione superficiale ricorrente. Sarebbe bello se diventassero esempi di vita quotidiana, per la classe politica e per la società.

Hanno lasciato la traccia per un modello da seguire, quel modello da imitare che chi era bambino nel ‘92 guardava ammirato ed intimorito allo stesso tempo, che impressionava per la fiducia nei valori, il senso del dovere, il coraggio e l’eroismo dimostrati nell’aver continuato a mantenere la schiena dritta, fino alla fine.

Ed è questo il ricordo che preferisco.


“Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell'esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell'amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere.” (G. Falcone)

sabato 21 gennaio 2012

Quando ero in fila

Forconi. Forchette. Bombe. Gente incazzata con i politici. Gente incazzata con la sinistra. Gente incazzata un po’ anche con la destra. Gente incazzata col mondo. Gente incazzata con la sinistra2. Gente incazzata con le bombe. Supermercati con scaffali semivuoti e prezzi aumentati. File di ore per 30 euro di benzina. Gente che fa la spesa come se stessimo per entrare in guerra. Gente che c'ha la festa. Gente che urla. Gente che non rispetta le file. Controsensi. Ci sono le infiltrazioni. No a me non m'infiltra nessuno. E vabbè anche se ci sono non fa nulla perché le ragioni sono giuste. Ma hanno bruciato bandiere italiane! Si, ma noi ci dissociamo. C’è gente che parla di indipendenza della Sicilia! Vuoi che t’aumentano la benzina? Ad avercela la benzina! Sono rivendicazioni giuste, tu devi manifestare con noi. Manifestare è un diritto, non può essere un obbligo. Siete solo invidiosi perché non c'avete pensato voi prima. Tu nel '68 non c'eri. No, era il '69. Si ma tu non c'eri. Però quando lo facevano gli altri non c’eri tu. Ma quando lo facevano gli altri erano tutti indignati comunisti iperindottrinati. Si, ma qui c’è il popolo. Ma il popolo non è stato invitato. Ma sono lotte per il popolo, che servono al popolo. Si ma qualcuno gliel’ha chiesto prima cosa vogliono? Si ma lo stanno facendo per tutti i lavoratori, anche per te. Ma sono richieste egoistiche per le sole categorie interessate e poi io sono disoccupato. Si, lo fanno anche per i disoccupati. E se ero occupato? La facevano anche per gli occupati. E se ero precario? Lo facevano anche per i precari, ma a intervalli. Ma lo sai che c’è gente che da qualche giorno non può andare al lavoro? Bene, digli che viene insieme a noi a protestare. E se rischia di perdere il posto? Mi dispiace, forse non ha protestato abbastanza. Eh però l’hanno votata loro sta gente qua e ora la contestano. Si ma uno non può cambiare idea? È una guerra fra poveri, l’economia è in ginocchio. C’è da fare la rivoluzione e far tremare le gambe ai politici che si intascano soldi alle spalle della gente. Eh ma io vorrei sapere i nomi e cognomi dei politici che stanno tremando in questi giorni. Ma tutti devono tremare. Effettivamente siamo a gennaio ed è inverno pieno. Si ma questa è la primavera siciliana. No, la primavera è quando c’è il sole e si fanno le grigliate di pesce, anche se non siamo ancora in estate. Bella l’estate, quest’anno voglio andare al mare tutti i giorni e farmi anche una bella vacanza. La verità è che non ci sono più le mezze stagioni. Ma stasera che si fa? Io vorrei una pizza. Chissà se la fanno la pizza. Che altrimenti fa freddo, poi chi esce? Io già c’ho mal di testa. Anche io. Adesso stacco. Ok, ciao.


(Pubblicato su "La Civetta di Minerva" del 27 gennaio 2012)

venerdì 20 gennaio 2012

Non chiamarla rivoluzione

Con tutto quello che sta succedendo, vedendo con delusione che tanti amici e gente stimata si lasciano coinvolgere da questa sommossa e dall’impatto emozionale che sta suscitando, è forte la tentazione di contattarli uno ad uno, rischiando anche il linciaggio verbale, per farli riflettere.

Non c’è presunzione di avere la verità assoluta sulle cose in tasca, né quella di sentirsi tanto più sveglio o intelligente degli altri, ma avendo visto e conosciuto tanti “furbetti” negli anni, è impossibile riuscire a stare zitti evitando di commentare ogni articolo, post o presa di posizione letta.

Partiamo da alcuni presupposti. L’economia siciliana è in crisi, non da quest’anno ma da tempi immemori a memoria d’uomo. La migrazione dei giovani siciliani al nord o all’estero non intende calare e chi ha la fortuna di trovare un lavoro, precario o no che sia, è sempre più una rara eccezione.

Piove sempre sul bagnato e quindi era ovvio che all’esplosione della crisi economica, dopo che per qualche anno c’hanno detto che i ristoranti erano sempre pieni, le regioni più colpite fossero proprio quelle più deboli.


Perché la Sicilia ha sempre una caratteristica che resiste nel tempo, la sua debolezza.

La debolezza di non riuscire ad emergere e sfruttare le ricchezze che ha, la debolezza di non riuscire a valorizzarsi, la debolezza di non riuscire ad evitare di piegarsi a tutta quella classe politica che la amministra non grazie a chissà quali capacità, ma solo per il “movimento collaterale” che riesce a smuovere attorno a sé, le spinte emozionali, le candidature giuste e i giochi di potere.

Ed è così che nei periodi di disperazione spesso la scia emozionale pregiudica la razionalità.

Da circa una settimana la Sicilia è bloccata. È bloccata perché due movimenti di cui fanno parte molti agricoltori, allevatori e trasportatori  si dicono stanchi del disinteresse delle istituzioni nei loro confronti e quindi scendono in campo a manifestare. La forma scelta è quella del blocco dei trasporti e dei rifornimenti di carburante e di materie prime. Concesso, almeno così sembrerebbe, il passaggio delle ambulanze nei casi di emergenza e il trasporto pubblico, almeno finora.

Le difficoltà ci sono, è evidente, e la protesta ha piena ragione di esistere. Quel che non torna sono la forma, i destinatari e gli obiettivi.

Si è scelto di occupare le strade e le autostrade, con la ragione di voler far “tremare” i politici siciliani. Al momento stanno tremando solo le persone che non sanno se potranno andare al lavoro, se potranno recarsi da un medico per una visita (anche se non di emergenza), se dovranno spostarsi per un colloquio di lavoro, se vorranno semplicemente vivere una vita nonostante la crisi che stanno pagando anche loro.

Si sceglie di indebolire la già fragile economia siciliana per dimostrare l’importanza di alcune categorie, senza le quali essa non potrebbe sopravvivere, pur sapendo che ricominciare l'indomani non sarà come quando si rientra dalle ferie.

E lo si fa come dimostrazione di forza contro le istituzioni. Già, le istituzioni, ma quali di preciso?

Sono istituzioni sia il sindaco di un paesino di mille abitanti, sia i presidenti del Consiglio dei Ministri e della Repubblica, passando per il governatore dell’isola e quelli delle varie province.

Come capita in questi momenti, si tende a prendersela un po’ con tutto e tutti e quindi i destinatari diventano tutti i politici in genere, quelli di destra come quelli di sinistra, chi governa e chi sta all’opposizione e anche chi nelle istituzioni non ci sta proprio ma è comunque legato a un partito.

Poi però emergono situazioni strane. Il rincorrersi di tante notizie, mai contrastanti, ma sempre più numerose.  Comincia a venir fuori che un movimento apartitico come questo, che doveva cacciare ogni politico munito di bandierina “a calci in culo”, ha dentro di sé una serie di piccole “incoerenze”.

Pare che dietro ci sia il supporto neanche troppo velato di altri movimenti, tra cui il “movimento per la gente” di Maurizio Zamparini, il gruppo di Scilipoti e addirittura il supporto anche fisico di Forza Nuova.

Viene fuori anche che i cosiddetti “capipopolo” non sono altro che ex politici a loro volta, che in un passato neanche troppo lontano erano vicini a forze come quella del governatore siciliano (che ha subito risposto che ne ascolterà attentamente le esigenze) e che magari oggi si trovano più accomunati con i movimenti di cui sopra.

Si è parlato anche di possibili infiltrazioni mafiose, tutte da verificare ovviamente, ma si sa che la mafia trova terreno fertile dove c’è disagio sociale o economico.

All'esplosione della protesta, il susseguirsi di supporti anche da parte di molti politici siciliani, che, stranamente, appartengono proprio a quegli schieramenti che al momento ci stanno governando e che sempre in teoria dovrebbero essere i primi a risentirsi, in quanto principali destinatari. Dopo il movimento dei forconi, arriva l’esercito delle forchette pronto a sedersi sulla tavola apparecchiata da altri.

Certo è che ancora una volta la politica siciliana ha perso un’occasione per mettersi davvero a servizio della gente, ascoltandone gli umori e prodigandosi per risolverne i problemi, preferendo che a intestarsi le battaglie di giustizia sociale e di sviluppo fossero movimenti che nascono proprio in contrapposizione alla politica stessa.

E i vantaggi dell’antipolitica, si sa, sono sempre quelli. Quando smuovi il popolo, ti dicono tutti che sei bravo e sono tutti con te. Passato il momento, sei solo un qualunquista rompiscatole.

È anche vero che dietro i movimenti c’è sempre più gente. Perché la crisi la sentono tutti e quando la crisi ti tocca, protestare diventa il minimo che si possa fare. C’è tanta brava gente che sicuramente crede in buona fede agli intenti per cui i movimenti si presentano, pur con proclami alquanto generici.

Quel che non è chiaro è l’obiettivo.
Si, si vuole cambiare la Sicilia, si vogliono meno tasse e benzina meno cara.
Giustissimo e sacrosanto.
Ma di chi è la responsabilità di tutto questo? Chi è chiamato a intervenire in merito?

Se le responsabilità fossero attribuibili al governo regionale, non avrebbe avuto più senso andare direttamente nella sua sede e occupare quella creando il disagio lì? Sicuramente il supporto della gente onesta ci sarebbe stato in ogni caso, forse anche in modo più coeso e partecipato. Se il problema fosse il governo Monti, non sarebbe stato meglio protestare direttamente a Roma? Si può pretendere di far “tremare” le istituzioni senza far loro subire neanche una minima parte del disagio?

Quando si decide di intraprendere un viaggio, la prima cosa che si guarda è dove esso ci porterà e per arrivarci bisognerà saper scegliere bene il mezzo e chi ti ci deve portare. Mancando uno di questi presupposti, il viaggio salta.

La protesta è giusta e sacrosanta, pur se espressa in maniera confusa. I metodi andrebbero sicuramente rivisti, considerato anche che tutto può degenerare con violenza o bandiere che prendono fuoco, smentendo anche le intenzioni migliori che ci possano essere.

Manifestare è un diritto inviolabile, come votare e come lavorare, ma non può certo essere un obbligo. Quindi non ha senso innervosirsi, attaccare verbalmente o costringere chi in certe proteste non crede ad aderirvi “forzatamente”, non è più rivoluzione, diventa squadrismo d’altri tempi e l’atteggiamento si fa fin troppo simile a quello che, infiltrazioni o no, hanno certe organizzazioni.

Sento dire di persone pronte a restituire la propria tessera elettorale sempre in segno simbolico di protesta. Bella idea, a patto che poi se la facciano restituire e che la prossima volta la sappiano usare in modo corretto.

L’unico modo per combattere le proprie debolezze è quello di analizzarne le origini. Storicamente questa terra si è sempre adagiata sul fatto che per ottenere le cose serva sempre il minimo sforzo. La mafia e i sistemi clientelari l’hanno sempre sfruttata perché gli è stato sempre permesso di fare la voce grossa. Una certa classe politica è ancora là a farsi i propri interessi, a tutelare le proprie cliniche private o imprese dalle partecipazioni dubbie, perché i siciliani continuano a tenerli là, vendendosi il proprio voto e quindi la propria dignità quando gli offrono piccoli favori o piccole agevolazioni.

Va detto che ogni tanto qualche risveglio importante c’è stato, ad esempio ai tempi dei fatti di Avola che diedero origine alla rivoluzione nel mondo del lavoro e delle manifestazioni antimafia dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Anche lì c’era gente che non ne poteva più, che si è rivoltata contro le istituzioni e contro le organizzazioni criminali, ma c’erano un obiettivo, un destinatario e una forma ben definiti.

Non c’è rivoluzione qui, non si può parlare di “Primavera Siciliana” e non perché siamo a gennaio.

La tanto invocata rivoluzione deve prima partire dalla testa. Se la testa inizia a funzionare, se cambia la mentalità, se la rivoluzione si fa cultura, allora tutta sta gente non avrà bisogno di dimettersi, perché l’avremo già mandata a casa noi non votandola più.

«La "rivoluzione" si fa nelle piazze, con il popolo; ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale, con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello.» (Paolo Borsellino)