“Sconfitta netta, Pier Luigi saremo leali con te”. Così Matteo Renzi
ha parlato dopo i primi risultati delle primarie. In perfetto stile americano,
lo stesso di Romney dopo la sconfitta con Obama.
Già, lo stile americano, quello
che ha contraddistinto buona parte della sua campagna, punto di forza e allo
stesso tempo di debolezza del suo progetto.
Quello che consente di far
un’ottima campagna comunicativa, puntando sul linguaggio e sulle emozioni,
permettendo di non focalizzare troppo l’attenzione sulle reazioni che
potrebbero suscitare certi contenuti.
Ma anche quello che si
contraddistingue per il fair play tra candidati che letteralmente “si scannano”
fino al giorno prima del voto, ma che poi si dicono disponibili a mettersi a
disposizione del vincitore dal giorno dopo dei risultati.
“Saremo leali con te”. Ed è
questo che ci si aspetta non solo da Renzi, ma anche dai suoi sostenitori,
sicuramente diversi dalla platea a cui tradizionalmente si è rivolto il PD.
Il tutto per spazzare via certe
accuse di essere antagonisti a tutto ciò che naturalmente apparterrebbe al
centrosinistra, ma soprattutto per non vanificare il magnifico risultato che
tutto il centrosinistra ha ottenuto durante queste primarie.
In un momento storico di sfiducia
nella politica e nei partiti, con il moltiplicarsi di movimenti politici e
antipolitici di orientamento ondivago, in un’epoca di astensionismo a livelli
da record, la media di quasi tre milioni di votanti nei due turni rappresenta
già da sé un risultato significativo. Perché quando la gente ha già poca voglia
di votare, chiederle di farlo due volte nel giro di una settimana, può portare
a risultati imprevedibili.
Adesso arriva la parte più complessa,
che diventerà ancora più difficile se viene data per scontata. Bisogna vincere
le elezioni, con sondaggi che vedono già i partiti della coalizione ai primi
posti.
Ma guai a pensare di avere già
vinto. Ci sono ancora altri quattro o cinque mesi in cui può succedere di
tutto, in cui la “concorrenza”, quella vera, può tirar fuori i cosiddetti “dinosauri”
che escono dal cilindro o nuove ricette alternative populiste fondate sul
malcontento della gente.
Ed è proprio a quel malcontento
che bisogna far riferimento, a tutti quei disaffezionati che da troppo tempo
cercano risposte che la politica non gli ha più dato. A chi non ha votato a
queste primarie, perché è deluso o perché strumentalmente frenato dal
contributo minimo, a chi non ha ancora dato fiducia a questa offerta politica.
Va riavvicinata la gente, facendo
sì che essa riprenda ad osservare, discutere e, se necessario, litigare,
parlando di politica. Un po’ come è già avvenuto tra i veleni e il fair play di
queste primarie.
E va raccolto quanto di buono
hanno rappresentato tutte le “anime” di questa contesa.
È evidente che un rinnovamento
sia necessario; nella classe dirigente, nei parlamentari, magari, anche, tra i
possibili ministri. Serve un rinnovamento, soprattutto di qualità e non
necessariamente anagrafico, che non si trasformi in una semplice restyling di
facciata.
Bisogna tornare a parlare di
sinistra, di argomenti di sinistra e da un punto di vista di sinistra; dando
spazio anche alle campagne per il “bene comune” di questi anni, rivitalizzando
la cultura, la ricerca e la scuola pubblica.
Bisogna dar voce a tutte le
categorie di lavoratori e di persone che, in questo momento delicato, soffrono
e subiscono la crisi e le politiche d’austerità. Categorie che hanno bisogno di
essere rappresentate o, magari, dovrebbero autorappresentarsi in Parlamento.
Sarà necessario, non solo differenziarsi
dagli avversari, ma anche decidere come rapportarsi nei confronti di Monti e
del governo dei tecnici, di cui il Partito Democratico rimane ancora oggi uno dei
principali sostenitori.
Durante la campagna per le
primarie, l’agenda Monti è stata usata come distinguo da parte di Nichi
Vendola, ma è stato anche un argomento su cui proprio i candidati appartenenti
al Partito Democratico hanno sapientemente sorvolato, senza prendere mai
posizioni nette a favore o in contrasto.
Di certo c’è che l’idea
bersaniana e renziana di riproporre in un eventuale governo di centrosinistra
alcuni ministri-tecnici di quello attuale, andrà ripensata e ridiscussa,
sentendo soprattutto gli umori degli altri componenti della coalizione,
sicuramente decisivi per il risultato delle primarie.
C’è poi la questione delle
alleanze. Con la vittoria di Bersani, il legame tra PD, SEL e PSI dovrebbe
rimanere saldo, almeno finché non si va a governare.
L’interrogativo potrebbe spostarsi
sull’autosufficienza di questa offerta per il raggiungimento del tanto sperato
55% dei seggi, che garantisca anche quella solidità che l’ultimo governo Prodi,
di cui Bersani era ministro, non ha mai avuto.
Sarà sicuramente un ritornello costante,
almeno fino all’ufficializzazione delle candidature di tutti gli schieramenti,
il tema dell’alleanza con quel Casini che non ha mai realmente sciolto le sue
riserve sul centrosinistra, deciso sostenitore di Monti e probabile proponente
di un eventuale Monti bis. Ma l’attuale calo dell’UDC e la spinta ricevuta
dalle primarie per i tre partiti della coalizione, potrebbe anche rendere meno
appetibile l’approfondimento di un argomento che di sicuro porterebbe scontento
e malumore tra gli elettori e tra gli attuali o potenziali alleati.
Guardando a sinistra c’è un altro
cantiere in corso. È stato già ribattezzato il “quarto polo”, quello delle
liste civiche arancioni, capeggiate da Luigi De Magistris, tra i protagonisti
dei successi della cosiddetta “primavera arancione” del centrosinistra dello scorso anno, che sembrano già risalire
a una vita fa.
Un progetto speranzoso, ancora in
via di definizione, che nasce differenziandosi dalla coalizione di Italia Bene
Comune, senza però mai porsi in antitesi con essa.
Le dichiarazioni di De Magistris
stesso, durante il primo turno delle primarie, lasciavano più di una porta
aperta alla costruzione di un percorso comune con il vincitore della contesa. Così
come quelle di un altro sindaco virtuoso, Giuliano Pisapia, uscito dagli schemi
di imparzialità che il movimento s’era imposto e dichiaratosi deciso
sostenitore di Nichi Vendola.
Dalle cronache sta invece
scomparendo l’Italia dei valori, unica forza, insieme alla Lega, che si oppone
al governo Monti in Parlamento.
I recenti scandali, gli
endorsement di Grillo per il suo leader che, a sua volta, ricambia a giorni
alterni e la diaspora da parte di alcuni dei suoi esponenti più
rappresentativi, stanno facendo scivolare in basso i consensi del partito di Antonio Di Pietro, che potrebbe
essere costretto a farsi inglobare da qualcuno per non finire nel
dimenticatoio.
Qualche segnale lo si era già
percepito dalle sue “indicazioni di voto” per Bersani e Vendola e dalla
richiesta di poter aderire alla Carta d’intenti, avanzata già tempo fa.
Si dice che la sconfitta di Renzi
porterà all’inevitabile ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi.
Magari al Paese gioverà poco, ma
potrebbe far bene al mondo dello sport. Forse finalmente il Milan tornerà
ad avere una campagna acquisti decente.