lunedì 6 luglio 2015

FB #6.7.15

Al di là del risultato, la Grecia insegna che, per quanto disprezzo ci possa essere per la politica, per quante responsabilità le si possano attribuire per aver demolito un paese, quando si è chiamati ad esprimere la propria volontà, bisogna farlo, altrimenti a decidere saranno i soliti Merkel e Juncker della situazione. Da noi manca poco che l’astensionismo venga considerato alla stregua di un risultato acquisito di un programma elettorale.
Non si è votato sull’uscita dall’Euro né dall’Europa, ma sull’accettazione del piano economico imposto (dalla Germania all’Europa e quindi) dai creditori internazionali alla Grecia. Chi ne vuole fare una scusa per riportare la questione “no euro” qui, probabilmente, sa di star mentendo. Probabilmente, perché è possibile anche che, a furia di improvvisazioni e vorticosi cambi di linea, cominci anche a credere a se stesso.
C'è stato un governo che ha messo in discussione il proprio mandato elettorale, pur a poco tempo dal suo insediamento, rimandandolo all'esito di un referendum da cui ha ottenuto una rinnovata fiducia dal proprio popolo. Da noi fanno fede i voti presi alle europee e le elezioni di condominio.
C'è un ministro che, nonostante un consenso schiacciante approvi la condotta del suo mandato, decide di lasciare "la poltrona", perché sa di essere scomodo e poco gradito ai suoi interlocutori. Noi ci teniamo ministri di certificata incapacità perché altrimenti poi ci salta direttamente il governo.
C'è un capo dell'opposizione greca che si dimette per aver perso un referendum. Certo non le primarie di quartiere, ma nemmeno un'elezione politica, regionale o amministrativa.
C’è una tale corsa al carro del vincitore che chi sale manco sa dove sta andando ma, soprattutto, ha dimenticato dove è salito.
Per un paio di settimane si riprenderà a parlare di una Syriza italiana, come prima si parlava di una Podemos italiana, dimenticando che i tratti caratterizzanti di entrambe sono una forte caratterizzazione ideologica, che rende inequivocabili le posizioni su ogni argomento, e un’ampia partecipazione della base, preferito al conciliabolo ristretto di gruppi dirigenti che decidono di mettersi assieme o che “concedono” alla base di esprimersi su decisioni già prese. A copiare non siamo mai stati bravi, ma almeno iniziamo dai fondamentali.
Con la linea del piede in due scarpe e le metafore calcistiche, il governo italiano, anche stavolta, ha fatto la solita magra figura, quella del “terzista” che non vuol dispiacere nessuno e cerca di fare l’imparziale, del “sono con voi, con il cuore, ma…”, ed è pronto a scegliere il più forte quando tutto è finito perché “alla fine lo sapevo che avreste vinto voi”.
Ah, è molto probabile che vogliano anche rispettare l'esito del referendum.
Loro, in Grecia, fanno così.

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