lunedì 3 dicembre 2012

Primarie - Il giorno dopo


“Sconfitta netta, Pier  Luigi saremo leali con te”. Così Matteo Renzi ha parlato dopo i primi risultati delle primarie. In perfetto stile americano, lo stesso di Romney dopo la sconfitta con Obama.

Già, lo stile americano, quello che ha contraddistinto buona parte della sua campagna, punto di forza e allo stesso tempo di debolezza del suo progetto.

Quello che consente di far un’ottima campagna comunicativa, puntando sul linguaggio e sulle emozioni, permettendo di non focalizzare troppo l’attenzione sulle reazioni che potrebbero suscitare certi contenuti.

Ma anche quello che si contraddistingue per il fair play tra candidati che letteralmente “si scannano” fino al giorno prima del voto, ma che poi si dicono disponibili a mettersi a disposizione del vincitore dal giorno dopo dei risultati.

“Saremo leali con te”. Ed è questo che ci si aspetta non solo da Renzi, ma anche dai suoi sostenitori, sicuramente diversi dalla platea a cui tradizionalmente si è rivolto il PD.

Il tutto per spazzare via certe accuse di essere antagonisti a tutto ciò che naturalmente apparterrebbe al centrosinistra, ma soprattutto per non vanificare il magnifico risultato che tutto il centrosinistra ha ottenuto durante queste primarie.

In un momento storico di sfiducia nella politica e nei partiti, con il moltiplicarsi di movimenti politici e antipolitici di orientamento ondivago, in un’epoca di astensionismo a livelli da record, la media di quasi tre milioni di votanti nei due turni rappresenta già da sé un risultato significativo. Perché quando la gente ha già poca voglia di votare, chiederle di farlo due volte nel giro di una settimana, può portare a risultati imprevedibili.

Adesso arriva la parte più complessa, che diventerà ancora più difficile se viene data per scontata. Bisogna vincere le elezioni, con sondaggi che vedono già i partiti della coalizione ai primi posti.

Ma guai a pensare di avere già vinto. Ci sono ancora altri quattro o cinque mesi in cui può succedere di tutto, in cui la “concorrenza”, quella vera, può tirar fuori i cosiddetti “dinosauri” che escono dal cilindro o nuove ricette alternative populiste fondate sul malcontento della gente.

Ed è proprio a quel malcontento che bisogna far riferimento, a tutti quei disaffezionati che da troppo tempo cercano risposte che la politica non gli ha più dato. A chi non ha votato a queste primarie, perché è deluso o perché strumentalmente frenato dal contributo minimo, a chi non ha ancora dato fiducia a questa offerta politica.

Va riavvicinata la gente, facendo sì che essa riprenda ad osservare, discutere e, se necessario, litigare, parlando di politica. Un po’ come è già avvenuto tra i veleni e il fair play di queste primarie.

E va raccolto quanto di buono hanno rappresentato tutte le “anime” di questa contesa.

È evidente che un rinnovamento sia necessario; nella classe dirigente, nei parlamentari, magari, anche, tra i possibili ministri. Serve un rinnovamento, soprattutto di qualità e non necessariamente anagrafico, che non si trasformi in una semplice restyling di facciata.

Bisogna tornare a parlare di sinistra, di argomenti di sinistra e da un punto di vista di sinistra; dando spazio anche alle campagne per il “bene comune” di questi anni, rivitalizzando la cultura, la ricerca e la scuola pubblica.

Bisogna dar voce a tutte le categorie di lavoratori e di persone che, in questo momento delicato, soffrono e subiscono la crisi e le politiche d’austerità. Categorie che hanno bisogno di essere rappresentate o, magari, dovrebbero autorappresentarsi in Parlamento.

Sarà necessario, non solo differenziarsi dagli avversari, ma anche decidere come rapportarsi nei confronti di Monti e del governo dei tecnici, di cui il Partito Democratico rimane ancora oggi uno dei principali sostenitori.

Durante la campagna per le primarie, l’agenda Monti è stata usata come distinguo da parte di Nichi Vendola, ma è stato anche un argomento su cui proprio i candidati appartenenti al Partito Democratico hanno sapientemente sorvolato, senza prendere mai posizioni nette a favore o in contrasto.

Di certo c’è che l’idea bersaniana e renziana di riproporre in un eventuale governo di centrosinistra alcuni ministri-tecnici di quello attuale, andrà ripensata e ridiscussa, sentendo soprattutto gli umori degli altri componenti della coalizione, sicuramente decisivi per il risultato delle primarie.

C’è poi la questione delle alleanze. Con la vittoria di Bersani, il legame tra PD, SEL e PSI dovrebbe rimanere saldo, almeno finché non si va a governare.

L’interrogativo potrebbe spostarsi sull’autosufficienza di questa offerta per il raggiungimento del tanto sperato 55% dei seggi, che garantisca anche quella solidità che l’ultimo governo Prodi, di cui Bersani era ministro, non ha mai avuto.

Sarà sicuramente un ritornello costante, almeno fino all’ufficializzazione delle candidature di tutti gli schieramenti, il tema dell’alleanza con quel Casini che non ha mai realmente sciolto le sue riserve sul centrosinistra, deciso sostenitore di Monti e probabile proponente di un eventuale Monti bis. Ma l’attuale calo dell’UDC e la spinta ricevuta dalle primarie per i tre partiti della coalizione, potrebbe anche rendere meno appetibile l’approfondimento di un argomento che di sicuro porterebbe scontento e malumore tra gli elettori e tra gli attuali o potenziali alleati.

Guardando a sinistra c’è un altro cantiere in corso. È stato già ribattezzato il “quarto polo”, quello delle liste civiche arancioni, capeggiate da Luigi De Magistris, tra i protagonisti dei successi della cosiddetta “primavera arancione” del centrosinistra  dello scorso anno, che sembrano già risalire a una vita fa.

Un progetto speranzoso, ancora in via di definizione, che nasce differenziandosi dalla coalizione di Italia Bene Comune, senza però mai porsi in antitesi con essa.

Le dichiarazioni di De Magistris stesso, durante il primo turno delle primarie, lasciavano più di una porta aperta alla costruzione di un percorso comune con il vincitore della contesa. Così come quelle di un altro sindaco virtuoso, Giuliano Pisapia, uscito dagli schemi di imparzialità che il movimento s’era imposto e dichiaratosi deciso sostenitore di Nichi Vendola.

Dalle cronache sta invece scomparendo l’Italia dei valori, unica forza, insieme alla Lega, che si oppone al governo Monti in Parlamento.

I recenti scandali, gli endorsement di Grillo per il suo leader che, a sua volta, ricambia a giorni alterni e la diaspora da parte di alcuni dei suoi esponenti più rappresentativi, stanno facendo scivolare in basso i consensi  del partito di Antonio Di Pietro, che potrebbe essere costretto a farsi inglobare da qualcuno per non finire nel dimenticatoio.

Qualche segnale lo si era già percepito dalle sue “indicazioni di voto” per Bersani e Vendola e dalla richiesta di poter aderire alla Carta d’intenti, avanzata già tempo fa.

Si dice che la sconfitta di Renzi porterà all’inevitabile ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi.

Magari al Paese gioverà poco, ma potrebbe far bene al mondo dello sport. Forse finalmente il Milan tornerà ad avere una campagna acquisti decente.

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